Chi oggi, in un’Italia che si spera avviata verso l’immunizzazione (speranza più forte dei timori legati a chi non vuole vaccinarsi mettendo a rischio anche gli altri), viaggia in treno, per impegni o per diletto, o anche solo sta in stazione ad aspettare un amico o parente da accogliere non può non notare che sui treni Freccia di Trenitalia o sui corrispondenti e concorrenti Italo Treno solo un posto su due è e può essere occupato per le norme di sicurezza anti Covid dai viaggiatori rigorosamente con mascherina (prima pubblicazione il 21 luglio alle 16.,59, ripubblicato oggi alle 11.28 visto che il Green Pass è ora obbligatorio sui Freccia ma non sui regionali e su altri mezzi di trasporto popolari, ndr).
Ma gli stessi viaggiatori o “spettatori” vedono i treni regionali in cui nelle ore di punta i passeggeri, sia pur sempre “mascherati”, sono accalcati senza alcun limite di occupazione di posti e alla faccia di qualunque appello ad evitare gli assembramenti.
In più, non sfugge a molti, prima di salire su un treno veloce c’è sempre, o quasi, un addetto che misura la febbre a chi sta per salire mentre su un regionale può trovare posto anche un ammalato con febbre da cavallo.
Una domanda allora sorge spontanea in questa Italia di regole fatte su misura (e a dismisura): i passeggeri dei Freccia e degli Italo sono più infettivi, sintomatici o asintomatici che siano, di quelli dei treni regionali per cui è meglio, per ragioni di salute pubblica, di distanziarli?
Oppure i pendolari (tipicamente lavoratori, studenti e immigrati) contano di meno nella scala sociale per cui che si ammalino e diffondano il malefico virus importa un po’ meno a Draghi, Brusaferro & c.?