La senatrice vicentina Daniela Sbrollini, vicepresidente della 10 Commissione Sanità al Senato, interviene sui fatti recenti capitati alla Guardia Medica a Vicenza.
“I cittadini hanno diritto ad un adeguato servizio a tutela della salute. L’organizzazione della medicina sul territorio deve liberare il Pronto Soccorso dai casi che non sono urgenti e che sono gestibili al di fuori dei presidi ospedalieri. Sono due punti fermi sui quali la sanità Nazionale sta mostrando seri limiti di efficienza – afferma la sentaricie di di IV-Azione -. Sono estremamente preoccupata perché questi servizi stanno mostrando ogni giorno carenze anche nella nostra regione, non solo per il servizio di guardia medica a Vicenza.
Gettare la croce addosso agli operatori – prosegue la Sbrollini – è un modo sbagliato per affrontare la situazione con l’intento di risolverla. Oltre che sbagliata è anche ingiusta. C’è carenza di personale, sia medico che infermieristico. Molto è legato al sistema del numero chiuso che ha ingessato il sistema formativo senza tenere conto della programmazione e del turnover. Ma ci sono anche altre cause che non si vogliono prendere in considerazione.
Purtroppo l’impoverimento di risorse della medicina territoriale porta la gente a riversarsi su pronto soccorso e continuità assistenziale. Non risolvere questo problema innesca inevitabilmente quelli successivi. Le medicine di gruppo non sono sufficienti, i medici di medicina territoriale non bastano. L’ipotesi di concentrare, prima gli ospedali, poi i pronti soccorso, quindi le medicine di gruppo, ora le guardie mediche hanno creato intasamenti ed ingolfamenti. A questo si aggiunge un eccessivo ricorso alla burocrazia. Regole spesso cambiate repentinamente, comunicate sì, ma in modo disordinato e differenziato da posto a posto disorientano i pazienti”.
Chiude la senatrice: “Quando un cittadino si sente in difficoltà per motivi improvvisi di salute fa fatica a cercare cartelli di istruzione o informazioni sui siti. Una call telefonica che non risponde crea insofferenza e spesso il panico. Forse serve anche maggiore calma e reciproca comprensione tra cittadini e operatori sanitari.
Però chi organizza questi servizi deve tenere conto di una componente fondamentale. Chi li usa si sente in emergenza. E deve essere aiutato a vivere questa esperienza di disagio senza dover affrontare decaloghi burocratici, attese sfiancanti, rimbalzi di responsabilità.
Se i sanitari cercano di evitare questi servizi, se i primari di Pronto Soccorso lasciano, se il malessere serpeggia tra gli operatori sanitari ovunque, se i cittadini si sentono spesso abbandonati, se i sindaci implorano di avere medici di base nei loro territori, evidentemente molte cose non vanno. Quante altre grida di allarme servono“?