Guerra: riprendiamoci la gioia di vivere (con la lotta)

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Guerra
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Inizia l’autunno e promette nulla di buono. Un futuro cupo che prelude al peggio. La guerra che distrugge il mondo e i popoli non è solo quella tra Russia e Ucraina. È solo quella più vicina a noi. Ci sono anche quelle “endemiche” contro popoli per noi meno “interessanti”. Sono dimenticate, ma sono.

Pochi parlano di negoziato e di pace. Di aumento delle armi, di necessità di annientare il nemico, invece, sono pieni i discorsi e le urla di sedicenti politici impegnati in una campagna elettorale fatta, al solito, di promesse e slogan.

Se ne dicono di tutti i colori senza mai affrontare la vera questione: come cambiare lo stato di cose presente. Uno stato di cose che è, a dir poco, fallimentare. Quello che propongono, in definitiva, tutti i maggiori partiti e le coalizioni è di continuare così, persistere nell’andazzo abituale, nella speculazione e nello sfruttamento. Propongono, anzi, di radicalizzare il sistema.

Più armamenti, più fonti di energia fossili, maggiore inquinamento, più inflazione, speculazione, sfruttamento di persone e ambiente. Tanto la colpa è sempre del “nemico”. Ma (e dobbiamo cominciare a prenderne coscienza) il vero nemico di “lorsignori” siamo noi. È chi deve sopravvivere con paghe da fame, chi viene ricattato sul lavoro, chi viene espulso, chi viene ucciso mentre lavora. Chi viene assassinato da guerra e fame provocate dalle nazioni più ricche. Quella parte del mondo che si sente protetta da un sistema capitalista che distribuisce ricchezza e benessere alla rovescia. Da chi è più povero a chi è già ricco.

Pochissimi si azzardano a criticare il capitalismo trionfatore e spietato. Del resto, come scriveva Mark Fisher nel suo saggio “realismo capitalista”, “è più facile credere alla fine del mondo piuttosto che alla fine del capitalismo”.

Stiamo assistendo alla nostra fine e lo facciamo da spettatori.

Siamo in mezzo alla tempesta e cosa facciamo? Molti non se ne rendono conto, altri aspettano rassegnati e sfiduciati. O ignari.

Ma c’è, comunque, qualche speranza.

La si vede nell’ostinata testardaggine di chi continua a pensare che il mondo si possa cambiare. Che si possano cambiare i rapporti di forza e che possa riemergere quella coscienza che ci permetterà di lottare per la solidarietà e il benessere collettivo.

La si vede nelle lotte di lavoratrici e lavoratori che non si rassegnano alla sudditanza e promuovono conflitti per contrastare chiusure e delocalizzazioni, per mantenere la produzione e il posto di lavoro, la nostra vera ricchezza, nonostante le difficoltà e la fatica.

La si vede, questa benedetta speranza, nei volti dei giovani che scendono in piazza a migliaia contro la devastazione ambientale e l’emergenza climatica. Lo hanno fatto oggi in molte città della nostra povera Patria. E gli slogan non sono rime vuote. Invocano un cambiamento reale, indicano la malattia nel sistema stesso (ormai irriformabile), gridano il loro “J’accuse” contro il vuoto rappresentato da chi governa e da un Parlamento sempre più ridotto a simulacro di democrazia.

Loro, le lavoratrici, i lavoratori, gli studenti … sono la speranza che si possa costruire un mondo nuovo completamente diverso dall’attuale. Una società finalmente e saldamente costruita sui principi, i diritti e i valori di solidarietà che stanno alla base della nostra Costituzione.

Il tempo sta scadendo e bisogna lottare perché il futuro sia nostro, di ognuno e non di pochi che si arricchiscono sfruttando l’ambiente e il lavoro altrui.

Riprendiamoci la gioia di vivere non con la guerra ma con… la lotta.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.