L’Istat, a marzo, registra un crollo dell’indice di fiducia delle imprese. In particolare, calano le attese delle imprese sull’economia, con il saldo delle imprese manifatturiere e dei servizi che cede mediamente 36,6 punti. La guerra fa peggio della pandemia sulla fiducia dei consumatori, il cui indice a marzo 2022 perde 11,6 punti rispetto al mese precedente, un calo più ampio del -10,1 punti di marzo 2020, mese dello scoppio della pandemia e dell’inizio del lockdown sanitario.
Le violente sollecitazioni sull’offerta e sui prezzi delle commodities indotte dal conflitto mettono sotto pressione in Veneto 109 mila imprese (il 98,5% delle quali MPI) con 700mila 465 mila addetti. Siamo la terza regione più colpita con il 40,5% dell’occupazione dell’intero sistema imprenditoriale coinvolto (molto superiore alla media nazionale del 30,7%). Si collocano nella trincea di prima linea i settori manifatturieri con una maggiore intensità energetica: dalla petrolchimica alla metallurgia, dal vetro e la ceramica alla carta. In questi comparti energy intensive sono sempre più numerosi i casi in cui il divario tra costi e ricavi sta diventando insostenibile, costringendo al fermo dell’attività: a due anni dal lockdown sanitario siamo arrivati al lockdown energetico, un rischio per 3mila 300 imprese con 9mila 300 addetti. Le carenze di materie prime provenienti da Russia e Ucraina coinvolgono sempre in regione oltre 57mila imprese nei settori di alimentare, metalli e costruzioni (255.563 gli addetti), mentre il caro-carburanti colpisce il trasporto merci e persone che contano 20mila imprese e 127mil a500 addetti. Il Veneto è poi uno dei territori più esposti d’Italia sia per l’export di moda e macchinari in Russia e Ucraina con quasi 10mila imprese e 147.735 addetti che per il turismo con maggiore peso della spesa dei turisti russi. 27mila 500 le imprese a rischio e 156,500 gli addetti.
“La guerra in Ucraina –afferma Roberto Boschetto Presidente di Confartigianato Imprese Veneto– ha fatto venire al pettine i nodi irrisolti della politica energetica e a pagarne il prezzo più alto sono le micro e piccole imprese per le quali il boom di rincari nell’ultimo anno si traduce in un extra costo del 71,7% in più per l’energia elettrica rispetto alla media dei competitor tedeschi e francesi, pari a 6,2 miliardi di euro a livello nazionale. I maggiori costi pagati dalle imprese – sottolinea il Presidente– sono ‘gonfiati’ da una più alta tassazione dell’energia che, non rispettando il principio ‘chi inquina paga’, penalizza maggiormente le piccole imprese, come nel caso dell’elettricità. Inoltre, in sette anni si è dimezzata la produzione di gas naturale, mentre la bassa presenza dei rigassificatori, e il loro sottoutilizzo, riduce l’accesso a fornitori alternativi alla Russia”.
“Va affrontata la complessa regolazione del mercato europeo per poter applicare un tetto al prezzo del gas, così come va incentivata la produzione di energia da rinnovabili. In ogni caso –conclude Boschetto– appare difficile poter affrontare una crisi energetica di queste dimensioni senza interventi coordinati a livello europeo. Molti degli investimenti necessari non sono finanziabili con le risorse nazionali e rendono necessaria una risposta dell’Unione europea che utilizzi l’esperienza di debito congiunto di Next generation EU”.