Guerra agli esperti e ai filosofi: minacce, censure, gogne. La (dis)informazione degli opinionisti TV… a cachet

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Opinionisti contro Luciano Canfora e Donatella Di Cesare
Luciano Canfora e Donatella Di Cesare

Nel rinnovato spirito polemico che in Italia divide anacronisticamente l’opinione pubblica tra interventisti e neutralisti o, meglio, contrappone in un insensato clima da stadio la curva degli opinionisti “senza se e senza ma, virtuosi occidentalisti” a quella dei “complessisti, cinico-pacifisti, tra cui Donatella Di Cesare e Alessandro Orsini, ma anche il fisico Carlo Rovelli, minacciato di morte, lo storico Alessandro Barbero, Luciano Canfora, le cui interviste vengono manipolate, ci sembra appropriato rievocare un interrogativo rimasto in sospeso durante la pandemia.

«L’appello alle armi, che inizialmente era parso così spendibile a livello comunicativo, inizia a rivelare il rovescio della medaglia di un’interpretazione concettuale limitata e limitante: cosa rimane quando la minaccia incombente inizia a dissolversi all’orizzonte e non abbiamo più un motivo per cui combattere?».

La domanda, forse, ha trovato risposta appropriata in queste ultime settimane: non scompare semplicemente la minaccia, il nemico, ma ne appare sempre uno nuovo, più devastante e distruttivo, se possibile. Così, dopo aver immotivatamente abusato della metafora strutturale della guerra durante la pandemia, adesso che la guerra – con il rischio, terrifico, dell’annichilimento atomico totale – l’abbiamo davvero sotto i nostri occhi, continuiamo nella frenetica ricerca del nemico anche in casa nostra, insieme al posizionamento dalla parte più rassicurante e virtuosa da cui stare.

Beninteso, lo si nota dalla polarizzazione delle discussioni, questa ricerca del nemico riguarda tutti: sia chi, ingenuamente, pensa ancora di potersi chiarire le idee ascoltando nei talk show gli esperti, di certo non navigati influencer, con le loro fondate argomentazioni, che però all’interno dei meccanismi televisivi risultano perennemente frammentate, svelandosi, alla fine, o incomprensibili o banali; sia chi decide di affidarsi, per semplicità, a giornalisti di chiara fama, loro sì scientemente attratti dai trending topic, pronti, in quegli stessi programmi o dalle pagine di importanti quotidiani, al sacrificio della complessità e della coerenza per offrire, disponibili all’uso di fedeli lettrici e ascoltatori mainstream una versione dei fatti più semplice, di pancia, e proprio per questo alla portata di chiunque, ma non per questo più vera o più vicina alla realtà.

In nome di questo sacrificio, non importa poi se ad essere delegittimati e ridotti al silenzio del luogo comune, alla semplificazione estrema, siano intellettuali del calibro di Barbero, Canfora, Cacciari, Chomsky, non certamente Papa Francesco o la Pax Christi o i generali, che, in fondo, esprimono sostanzialmente le stesse considerazioni. Ciò che conta è continuare a fomentare semplici dualismi, chiare dicotomie, perché lo spettacolo deve andare avanti, anche a luci spente, ma nella delegittimazione totale delle competenze intellettuali fuori dal coro del pensiero unico.

A scanso di equivoci, ribadendo l’ovvio, rimarchiamo che a tutti dev’esser consentito di esprimere la propria visione del mondo, quindi anche agli opinionisti (magari non a cachet) e ai giornalisti. Tuttavia, proprio in relazione all’opportunità di prendere parola pubblicamente, opportunità giustificata a maggior ragione dalla competenza maturata su uno specifico settore di studi, vorremmo mettere in evidenza una chiarificazione, che ci pare fondata, sul ruolo dell’esperto e su quello del filosofo: «Entrambi hanno il compito di mediatori fra un sapere e la società, il primo in quanto introduce la sua disciplina nel campo più vasto e complesso delle decisioni sociopolitiche, il secondo perché ripristina […] la pertinenza di interrogativi generali. Nel caso dell’esperto, la competenza si tramuta in autorità sociale; in quello del filosofo, le questioni banali reintroducono il dubbio in un campo tecnico»[1].

Da queste considerazioni è evidente l’abisso metodologico che si apre tra gli esperti e i filosofi, da una parte, e gli opinionisti dall’altra, giacché se gli esperti devono essere ascoltati per la loro competenza in materia, per le loro analisi strategiche fondate su ricerche e fonti documentali, per le soluzioni teoriche che offrono, così come i filosofi devono essere ascoltati perché con il loro argomentare sollevano dubbi teorici senza accedere ad alcuna forma di verità precostituita, gli opinionisti, che, appunto, mettono in circolo mere opinioni, sarebbero, in realtà, del tutto superflui. Essi, infatti, non hanno né le competenze tecniche degli esperti né quella forma di scetticismo metodologico che caratterizza i filosofi, soprattutto se si tratta di prezzolati pennivendoli della carta stampata, ormai proni alle direttive «delle consorterie politiche ed economiche molto potenti» che continuano, ad esempio, a censurare e ad attaccare Alessandro Orsini. Ma, soprattutto, lo vediamo tutti i giorni, appare un vero cortocircuito metodologico far interloquire gli esperti e i filosofi con gli opinionisti in formati televisivi che si reggono su fallacie argomentative, claque e provocazioni.

Già con la pandemia avevamo assistito, tra le altre cose, allo spettacolo che vedeva sdoganata forse definitivamente la prassi di mettere a tacere l’altro, riducendolo a personaggio anonimo, costringendo gli esperti, invitati in modo compulsivo nei talk show, a chiarire, smentire, quindi semplificare, facendo in modo che la loro competenza si impantanasse nell’indifferenza del luogo comune, dove ogni posizione è equivalente, quindi irrilevante. Questo accade perché quando l’esperto è chiamato ad esprimere il suo sapere in un luogo diverso da quello in cui si esercita, mentre converte la competenza in autorevolezza, si espone all’accusa di abuso di sapere, finendo per essere espropriato della sua competenza. E così, davanti all’opinionista l’autorevolezza dell’esperto progressivamente si svuota e il suo certificato di sapere specialistico si annacqua, se costretto ad estendersi oltre misura negli abusi delle esemplificazioni e di un linguaggio reso sempre più colloquiale e provocatorio, che finisce per confinare l’esperto in luoghi e settori in cui la sua autorevolezza non trova più legittimità alcuna.

Ecco, la caccia al prossimo complessista, da mettere a tacere e ricondurre a uomo qualunque nell’alveo rassicurante del battibecco insolente da talk con la complicità, per nulla ingenua, di tutti gli attori del circo mediatico, pare catapultare l’opinione pubblica in una insensata caccia alle streghe in cui a finire sotto processo inquisitorio sono, in effetti, le traballanti basi della nostra cara, vecchia libertà di pensiero, ma del pensiero competente, esperto, critico e pensato.

Di Michele Lucivero e Andrea Petracca.

[1] M. De Certau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2001, pp. 33-34.


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a cura di Michele Lucivero

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