Quando l’8 novembre 1923 Adolf Hitler perpetrò un colpo di stato – poi fallito – contro la repubblica di Weimar, irrompendo in una birreria di Monaco, Heinz Kissinger era al mondo da appena un paio di mesi ma fin da subito si era cibato di quello che negli anni a venire – quando prese il nome di Henry Kissinger – sarebbe divenuto il suo pane quotidiano: la realpolitik.
I Kissinger erano una normale famiglia borghese residente a Furth, in Baviera, le cui origini semite li avevano costretti all’esilio che avvenne nel 1938 sebbene la famiglia vi pensasse fin dall’emanazione delle Leggi di Norimberga (1935). Trovano riparo prima a Londra, poi, con l’aiuto di alcuni parenti già emigrati, a New York dove ha inizio la vita politica del giovane Henry.
Con l’arrivo della Seconda Guerra mondiale, Kissinger si arruola con il fratello Walter nell’esercito statunitense anche per acquisire la cittadinanza, poi alla fine del conflitto mondiale, all’età di 24 anni e cittadino americano, si iscrive ad Harvard dove da brillante studente passò velocemente a essere stimato docente della prestigiosa università.
Eppure, si sa, anche le menti migliori hanno bisogno di un po’ di fortuna. L’incontro con il miliardario Nelson Rockfeller gli cambiò, ancora una volta, la vita promuovendo delle sue pubblicazioni, portandolo a lavorare nella sua fondazione fino a proporlo come collaboratore part-time di un consigliere di John Fitzgerald Kennedy.
Con la morte di quest’ultimo e la nomina ad Assistente del Presidente Nixon per la Sicurezza nazionale, il giovane neo americano inizia la ripida scalata non curante dei mezzi ma attento ai fini.
In quegli anni Kissinger fece nascere la teoria della “guerra limitata”, del linkage, del “negoziato permanente” per mantenere un equilibrio mondiale. A detta dell’Assistente infatti “Non può esserci pace senza equilibrio di forze”. Questa teoria entrerà a pieno regime quando, tra il 1969 e il 1977, Kissinger acquisirà un ruolo dominante nella politica estera degli Stati Uniti, proprio perché la superiorità militare americana si stava ridimensionando e altri centri di potere stavano sorgendo nel mondo. Quindi era necessaria una diplomazia agile e dinamica, che costringesse a una convivenza internazionale, indispensabile per evitare una guerra atomica.
A questa teoria si rifecero tutte le sue azione politiche. Chi lo ama, riconosce il suo ruolo fondamentale nella fine della guerra in Vietnam attraverso la progressiva “vietnamizzazione” disimpegnando l’esercito americano dal gestire questa guerra, tra l’altro economicamente devastante, e addirittura ricevendo, per ciò, nel 1973 il Premio Nobel per la Pace. Storiche sono ancora le politiche di distensione portate avanti con Mosca e Pechino attraverso gli accordi sugli armamenti e la fine della guerra di Kippur ponendo le basi per i rapporti tra Egitto – Stati Uniti – Israele.
I suoi detrattori, provenienti soprattutto dalla sinistra democratica, lo accusano tutt’oggi del sacrificio di valori democratici e diritti umani per il soddisfacimento delle sue grandi manovre in fatto di politica estera. Le radici di queste argomentazioni si ritrovano nel sostegno quasi palese di Kissinger al golpe cileno di Pinochet contro il presidente socialista Salvador Allende, nell’elevato numero di civili – più di 50.000 – uccisi dai bombardamenti segreti e indiscriminati della Cambogia durante la guerra in Vietnam, ma anche nel via libera agli eccidi nell’attuale Bangladesh da parte del Pakistan e nella zona del Timor Est quando venne invasa dall’Indonesia, entrambe mosse attivate per scongiurare il timore di ogni influenza comunista.
Insomma, la figura di Henry Kissinger è innegabilmente stata unica nel suo genere con un raro controllo del policymaking negli affari istituzionali del Paese a Stelle e strisce per qualcuno che non sia Presidente, ma forse la sua unicità sta anche nella propria contraddittorietà che nemmeno la morte è riuscita a sanare.
Chi è stato Henry Kissinger? Un freddo calcolatore seduto dietro i meccanismi della più spietata realpolitik o un promotore dello sviluppo della sua nazione e del mondo? Molto probabilmente, però, ricercare la riposta a questa domanda si rivelerebbe manchevole nell’uno o nell’altro senso e potrebbe addirittura condurre al ripudio di azioni considerate da condannare. Forse è proprio questo il bello della storia: la possibilità di conoscerla attraverso le figure di personaggi carismatici, allenando un pensiero critico capace di farsi ammaliare o inorridire, ma che non pecchi mai della presunzione di considerare un evento storico o un suo personaggio da rimuovere o che, ancor peggio, si adoperi per farlo.
Il 29 novembre 2023, a cento anni, è morto Henry Kissinger, uno dei protagonisti della politica estera statunitense e mondiale del XIX secolo, il giudizio spetta a ciascuno nel privato della propria mente, ma l’invito è quello di non fermarsi all’etica del presente ma anche di non giustificare ogni azione con la perifrasi erano altri tempi, così da essere davvero cultori e promotori della storia che è sempre fatta di e da uomini tra i quali vi è stato, indubbiamente, Henry Kissinger.