I consumi dei Boomers a Vicenza

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I consumi dei boomers
I consumi dei boomers

(Articolo sui consumi dei boomers da VicenzaPiù Viva n. 11sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

“Siora la prova sto salame ungherese, el xe nà specialità!”. Così esordiva el casoin allungando una fetta di salame al piccolo figlio che accompagnava la mamma a fare la spesa. Ben sapendo quanto questo affettato insieme ai dolciumi fosse sempre piaciuto ai pargoli e che in tal modo si sarebbe assicurato la vendita dello stesso.
Con la matita nell’orecchio, il grembiule non sempre lindo, si apprestava poi a fare il conto su un blocchetto di carta, passando poi alla mamma successiva.
El casoin, el becaro (macellaio), el frutarolo, El lataro, El formajaro, si aveva tutto ciò che serviva vicino alle abitazioni, che andavano a formare delle vere e proprie micro realtà sociali nelle quali tutti si conoscevano. Era la fine degli anni ‘70, gli inizi degli ‘80.
Allora il consumo era al dettaglio, non si faceva la spesa e gli altri acquisti nei centri commerciali o negli ipermercati, ma nei singoli negozi. Esistevano infatti per la vendita 13 tabelle merceologiche.
Dentro al negozio del salumiere non si trovavano vestiti o a quello che vendeva hi-fi, i libri. Oggi invece se si vuole vendere basta scegliere tra l’alimentare o il non alimentare. Tutto più facile (forse). Ma manca la vicinanza al consumatore, al bottegaio di allora potevi raccontare la tua vita, ti ascoltava. Anzi era lui che ti chiedeva come era andata la giornata. Oggi al supermercato se non ti muovi a mettere gli acquisti nella borsa vieni raggiunto dalle
occhiate del cliente successivo che indispettito con le stesse ti manda messaggi non tanto poi subliminali.

Consumi dei boomers

Borsa che all’epoca boomer ti dovevi portare da casa, perché gli acquisti, nella maggior parte dei casi, ti venivano incartati con vecchi giornali. Nessuno spreco, tutto veniva riutilizzato. E quando si pagava, ovviamente in contanti (le carte di credito erano malviste. Il negoziante manco sapeva cosa fossero e dubitava profondamente dell’incasso. Solo dal  1983 iniziò la diffusione su larga scala del bancomat per arrivare all’obbligo del POS nel 2012, con il decreto crescita 2.0), i soldi venivano messi dal commerciante nel cassetto del bancone. Poi alla fine il titolare compilava il suo registro dei corrispettivi. Ciò fino all’arrivo del registratore di cassa. C’era fiducia nelle persone. Molti negozianti usavano fare credito, concedevano rateizzazioni. Ma non c’erano contratti da stipulare, garanzie da assicurare. Ci si conosceva. Il credito molte volte veniva annotato in un quaderno e quando il debitore veniva a portare parte della somma, semplicemente la stessa veniva scritta nello stesso a diffalco del prezzo integrale. Ed in questo libricino non c’era la firma del creditore, che si fidava del suo cliente (mia madre che aveva un negozio nei pressi del centro di articoli casalinghi “Da Maria” è stata una pioniera del microcredito, ma come lei tutti i suoi colleghi.) Non c’era nemmeno la firma del debitore quando pagava le rate, in quanto si fidava del negoziante. Semplice no?
Provate oggi! Per vestirsi i negozi certamente non abbondavano come oggi. C’erano le sartorie (da Aldo Meneguzzo a Ponte San Paolo: il poi celeberrimo Papà Aldo che recentemente, con mio sommo dispiacere, ha chiuso i battenti) le c.d. mercerie (famoso il Momprè sempre a Ponte San Paolo) dove potevi comprare gli accessori da cucito e ricamo e per la macchina da cucire oltre alle maglierie. Sì, la macchina da cucire. Certamente allora i vestiti non si buttavano, si riparavano come le scarpe (ancora adesso ricordo il vecchio scarpareto di Contrà SS. Apostoli che lavorava in una decina di metri quadri tra mille chiodi e mastice, contenuti in piccoli contenitori di legno).
Si entrava dentro e le calzature erano tutte buttate in un mucchio, all’angolo della stanza, prima della loro lavorazione. Dio solo sa come faceva a trovare sia la destra che la sinistra. Ma la sua grazia, la sua cortesia era proverbiale. Se gli dicevi, guarda mi servono domani, rimaneva in negozio oltre l’orario di chiusura, per terminarti il lavoro. E avevi le tue scarpe riparate all’ora che avevi richiesto.
I bar poi erano autentici luoghi di aggregazione dove l’esercente cercava di dare il meglio di sé per la sua clientela. Si giocava alle carte quasi ovunque, se non a biliardo o a calcio balilla, per non dire delle bocce. Ed era gratis. Con uno spritz gli anziani ci passavano la domenica. E la cura nella mescita era particolarmente attenta. Non mancavano i sottobicchieri per i calici, la zuccheriera per i caffè, i bicchieri flute per i vini con le bollicine, i boccali per le birre, el goto (Duralex, in vetro temperato) per lo spritz (e se dovessi dire oggi alla buon’anima di mio padre: guarda papà lo spritz costa 10.000 lire – 5 euro – probabilmente mi chiederebbe se i miei gangli periferici del cervello risultassero collegati o se recentemente avessi subito una lobotomia). Una vita più rallentata ma affascinante. Non esisteva il codice del consumo, non c’era bisogno di una legge che tutelasse gli acquirenti. I negozianti, gli esercenti, avevano il codice etico-commerciale dentro il loro cuore, considerando il lavoro dapprima un servizio alla loro gente, ai loro amici, a coloro che gli abitavano a fianco.