I limiti all’eleggibilità a cariche politiche dei magistrati: il punto dell’avv. prof. Rodolfo Bettiol

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Porte girevoli in magistratura verso la politica
Porte girevoli in magistratura verso la politica

E’ noto che la nostra Costituzione si ispiri al principio della divisione dei poteri legislativo, amministrativo e giudiziario, con il solo limite del coordinamento degli stessi di cui è prova il Consiglio Superiore della Magistratura.

Sarebbe però ingenuo ritenere che il Giudice sia la mera bocca della legge, legge a sua volta suscettibile di diverse interpretazioni. Il giudice, in realtà si trova a godere spesso di ampia discrezionalità sia nella ricostruzione del fatto da giudicare, sia nell’interpretare la norma che è chiamato ad applicare.

Nella buona sostanza il diritto “vivente” è una creazione giurisdizionale attraverso la quale, si voglia o no, lo stesso Giudice assume la veste del legislatore. Del resto è spesso proprio il potere legislativo a voler affidare al Giudice ampia sfera di discrezionalità, vuoi perché lo esige la materia, vuoi per una precisa scelta. Quale dunque la vera demarcazione della divisione dei poteri?

La stessa va ravvisata nell’indipendenza di un potere dall’altro, nel non condizionamento nell’esercizio delle funzioni di un potere rispetto all’altro. Tale condizionamento può avere forme diverse e consistere principalmente nella prevalenza di un potere rispetto all’altro o, altresì, forma più insidiosa, nella creazione di un gruppo di potere politico – giudiziario che indirizzi le scelte giudiziarie e quelle più prettamente politiche del potere legislativo ed amministrativo.

Le vicende di qualche loggia massonica sono esemplificative.

E’ sotto questo profilo, a mio avviso, che va visto il problema della partecipazione dei magistrati alle cariche politiche elettive.

Candidarsi alle elezioni presuppone appoggi di natura politica.

Sino a che punto, è da chiedersi, la ricerca di un appoggio viene a non influenzare l’esercizio delle funzioni?

Avv. prof. Rodolfo Bettiol
Avv. prof. Rodolfo Bettiol

Il rischio è immanente. D’altra parte, anche cessata la carica politica e denotato come appartenente o affine a un partito è possibile che l’opinione pubblica dubiti dell’imparzialità del magistrato. Ricordiamo come l’imparzialità è nota caratteristica del magistrato. Nota del politico è, per contro, la sua parzialità, l’essere portatore di ragioni in conflitto con altre. Lo stesso Pubblico Ministero, che pure è parte nel processo, ha la funzione obbiettiva di sorvegliare sulla corretta applicazione delle leggi.

E’ da questa problematica che nasce la proposta della commissione Luciani di limiti territoriali e temporali alla candidatura dei magistrati, e, dei limiti del loro reinserimento nell’esercizio nelle funzioni giurisdizionali. La proposta è apprezzabile nella misura in cui cerca un contemperamento tra le opposte esigenze di un diritto dei magistrati a concorrere a cariche elettive ed al contempo tutelare la immagine di imparzialità della magistratura.

Resta, però, un interrogativo. La proposta prevede il limite territoriale di altre regioni per la candidatura e per il successivo reinserimento dopo aver esercitato il mandato elettivo.

Ma che ne è del fatto se il Magistrato matura successivamente l’incarico di Giudice della Corte di Cassazione?

In questo caso la sua giurisdizione riguarda tutto il territorio nazionale.

In realtà, la candidabilità a cariche elettive porta ad una commistione tra politica e magistratura estremamente pericolosa, in ogni caso per l’immagine della stessa, e non è esente dal pericolo di indebite interferenze tra i poteri.

Si afferma che è un diritto dei magistrati essere eletti a cariche politiche. Di ciò si potrebbe discutere rinviando al bilanciamento di interessi che la Costituzione impone.

In ogni caso non è dato vedere perché, una volta esaurita la funzione elettiva, il magistrato debba tornare ad esercitare le funzioni di Giudice o di Pubblico Ministero.

Più consona appare la proposta in passato formulata di un inserimento dello stesso nell’ambito dell’alta amministrazione dello Stato.

Avv. Prof. Rodolfo Bettiol