Siamo in piena campagna elettorale politica, diretta a dare un assetto parlamentare (tramite la Camera dei Deputati e il Senato), e un governo stabile al Paese. Forse. Certamente a parole e del tutto in teoria. Non sono nostalgico, per quanto appassionato del settore, di manifesti elettorali appesi ovunque e comunque, come avveniva un tempo. Ora non più. In realtà era un lavoro sfibrante e inconcludente il più delle volte. Si discuteva giornate per dividersi gli spazi messi a disposizione dei partiti dal Comune. Poi si organizzavano squadre di volontari e si riempivano auto di scope, di secchi di colla di farina, di manifesti naturalmente, e di tanta buona volontà e goliardia.Qualche volta, rara ma vera, avveniva che le squadre antagoniste si incontrassero e si scontrassero e finiva a botte. Insomma era una avventura ogni sera, ogni notte. Di giorno era raro che si attaccassero manifesti perché il compito di farlo era dei volontari e questi, studenti o operai, di solito avevano la giornata piena. Quando le cose filavano lisce poi bianchi, rossi, verdi e neri si ritrovavano all’osteria a raccontarsi le favole della battaglia notturna. Ai tempi antichi i manifesti seguivano alcuni filoni. Il più significativo politicamente, praticamente inossidabile, salvo eccezioni, era il manifesto con il simbolo del partito. Questi rappresentavano la bandiera ed erano vissuti come tali. Lo scudo crociato della DC, la fiamma tricolore del MSI, la falce e martello su campo rosso del PCI, la foglia d’edera del PRI, il tricolore con la scritta PLI, il libro aperto con falce e martello (poi con l’aggiunta della rosa rossa) del PSI, il pugno che stringe la rosa dei Radicali, il sole che sorge dei Socialdemocratici, e altri ancora che non rammento con chiarezza. Inossidabili. Guai a toccarli. C’era poi il filone della esaltazione dei leader e delle cose fatte o da fare. E qui ogni partito si esprimeva al meglio della sua fantasia e della sua disponibilità economica. Si vedevano manifesti prodotti da autentici professionisti della pubblicità, con colori fantastici, e altri più modesti frutto di qualche gruppetto di militanti che si davano da fare nel timore di scomparire nella marea di carta colorata. Passa il tempo e arrivano nuove sigle mentre cambia anche l’impianto dei manifesti. I più sono dedicati ai volti dei candidati e le vie dove sono posti i pannelli per le affissioni si trasformano in gallerie di facce praticamente tutte simili. Come gigantesche foto tessere. Qualche slogan, magari copiato da vecchi manifesti o da qualche azienda di patatine fritte. Niente che si muova al di la di questa ritrattistica perché, a dire il vero, l?unico briciolo di libertà grafica lo ritrovi nelle immagini dei volti femminili. Ora a poco meno di tre settimane dal voto, il 4 marzo, i tabelloni appaiono desolatamente deserti. Nemmeno i manifesti simbolo, gli emblemi di partito, quelli che ti ricordano che esiste un PD, un PSI, una Lega, una Forza Italia, il M5S, altri ancora. Nulla. Come nulla dei vari programmi che i partiti si affrettavano, un tempo, a scrivere e a far conoscere, magari per cercare di convincere che loro erano migliori degli altri. Avevano più idee. Erano più preparati ad affrontare il futuro o a salvare il passato. Oggi tutti gli addetti ti raccontano che il programma è bello pronto. Sarà pur vero ma non ti riesce di trovarli e leggerteli in santa pace. Ora i giornali, le TV, i cellulari e i tablet ti raccontano quante belle straordinarie fantastiche, irraggiungibili promesse ti fanno i leader e anche i loro sodali, fino ai portaborse. Forse nell’incanto di una stagione, lunga e tormentata stagione, di crisi le belle irrealizzabili promesse sono come il miele sulla merendina degli scolaretti. Quelli dei tempi antichi, perché ora i fanciulli hanno diritto ad essere condizionati dai nutrizionisti. In realtà i manifesti, i programmi, il volantinaggio, gli incontri e scontri (in TV questi servono a far spettacolo, non certo informazione politica e amministrativa, salvo rari casi) i comizi non ci sono più. Tanto primarie o non primarie, computer oppure no, centralismo o altro ancora, il problema è stato risolto con una vera alzata d’ingegno: si consuma troppa carta. La cellulosa è preziosa. L’albero, a cui tendiamo faticosamente la mano, è sempre meno disponibile a farsi macinare. Allora eccoti che arriva la legge elettorale che salva tutti, e tutto. Forse. In pratica ti cala i candidati belli che incartati (questa non è consumo di cellulosa, solo un modo di dire) ovverossia nominati. Il gioco è fatto. Cittadini andiamo a votare in allegria il 4 di marzo. Qualche brandello di bosco è stato salvato.
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