In questi giorni, Caf e commercialisti stanno inoltrando le ultime dichiarazioni dei redditi all’Agenzia delle Entrate. Ma già dall’inizio dell’anno spot televisivi, radiofonici e social sono stati messi in campo dalle principali confessioni religiose per accaparrarsi le simpatie dei contribuenti e i cospicui finanziamenti dello Stato destinati alle chiese ufficialmente riconosciute. Il numero dei contribuenti che esprimono una preferenza sulla destinazione dell’8 per mille sono però costantemente in calo. Erano circa 17,5 milioni nel 2015, si sono ridotti a 17 milioni e 207 mila nel 2017. Vuol dire che su circa 40 milioni e 700 mila dichiarazioni Irpef presentate, 27 milioni non riportavano alcuna scelta. Ma l’8 per mille di quei redditi viene ripartito ugualmente tra i beneficiari, compreso lo Stato, in modo proporzionale e in base alle preferenze espresse. Chi si astiene non conta.
Nel 2019 il finanziamento erogato è stato di un miliardo e 401 milioni euro. La gran parte è andata come di consueto alla Chiesa cattolica, scelta dal 79,87% dei sottoscrittori (e il 34,46% dei contribuenti). In totale, tra il pagamento di un anticipo (previsto solo per i cattolici) e il conguaglio, quest’anno sono affluiti dall’Erario italiano nelle casse vaticane un miliardo 131 milioni 962 mila euro. L’obolo laico rimasto allo Stato – grazie a 2 milioni e 564 mila scelte espresse – si colloca distanziato al secondo posto e ammonta a 197 milioni 722 mila euro. Nel gruppo delle inseguitrici, la Chiesa evangelica valdese con un incasso di 43 milioni 198 mila euro sopravanza l’Unione buddista, che si vede assegnare quest’anno quasi 13 milioni e 550 mila euro.
Nella partita del “dare e dell’avere” tra lo Stato italiano e la Santa Sede rimane da definire un grande “insoluto”: le imposte che il Vaticano sarebbe tenuto a pagare come un qualsiasi contribuente per le attività commerciali e le proprietà detenute oltre Tevere. Un’inchiesta del quotidiano romano Il Tempo ha stabilito che un immobile su 5 in Italia sarebbe di proprietà della Chiesa di Roma. Si tratta di 115 mila indirizzi riferibili a diocesi, congregazioni, confraternite che solo nella Città Eterna disporrebbero di 23 mila tra terreni e fabbricati intestati a diverse entità. Molti di questi edifici sono adibiti a pensionati, cliniche, scuole, attività di assistenza a pagamento. Nel novembre scorso una sentenza della Corte di Giustizia europea ha accolto un ricorso presentato da alcune strutture italiane e ha imposto a tutte le organizzazioni non profit che gestiscono esercizi commerciali di pagare l’Ici arretrata sugli immobili dal 2006 al 2011. Per la Chiesa cattolica si tratterebbe – secondo l’Anci (l’associazione dei Comuni italiani) di quasi 5 miliardi di euro.
Il governo gialloverde, al pari di quello passato, nicchia. Non ci sarebbe documentazione sufficiente per ricostruire quanto effettivamente dovuto. A giugno la Commissione europea è tornata alla carica. Un nuovo invito è partito da Bruxelles in una lettera spedita al Tesoro in cui si ribadisce che “le argomentazioni delle autorità italiane non dimostrano l’impossibilità assoluta di recuperare gli aiuti” concessi agli enti ecclesiastici. E anche il mondo laico si mobilita di nuovo in nome del principio “Libera Chiesa in libero Stato”.
Stop all’ora di religione, ricalcolo dell’8 per 1000, Imu per la Chiesa e recupero dell’Ici sono i 4 punti di una mozione bibartisan che intende rivedere il Concordato con lo Stato italiano firmato 90 anni fa. La raccolta di firme è stata promossa dal segretario del Psi Riccardo Nencini e firmata da Emma Bonino (+Europa), Maurizio Buccarella (M5S), Roberto Rampi (Pd), Loredana De Pretis (Leu), Carlo Martelli (Gruppo Misto), Elena Fattori (M5S), Tommaso Cerno (Pd) e Matteo Mantero (M5S) e fa seguito a un appello firmato da associazioni, centinaia di intellettuali e due ex giudici della Corte costituzionale. “Ci sono immobili della Chiesa destinati a opere di misericordia e altri ricettivi e di natura commerciale: perlomeno quel lato lì sia soggetto a fiscalità”, spiega al Fatto Nencini, per il quale il problema dell’acquiescenza dei vari governi nei confronti del Vaticano non è tecnico ma politico: “Non si può scambiare l’affinità culturale e religiosa con l’essere eterodossi rispetto allo Stato. È un principio costituzionale che siamo tenuti a rispettare”.
di Luciano Cerasa, da Il Fatto Quotidiano