Alessandra Testa sul Corriere di Bologna
Il primo a parlarne fu nell’ormai lontano 1995 il numero uno della Fiera di Rimini, Lorenzo Cagnoni, ora ci siamo. Il dado è tratto per l’attesa alleanza fra le due società fieristiche di Bologna e Rimini: a dare l’accelerazione decisiva al progetto è stato, manco a dirlo, il Covid. Dal fondamentale vertice di ieri sera fra viale Aldo Moro, con il governatore Stefano Bonaccini e l’assessore allo Sviluppo economico Vincenzo Colla in prima linea, i due sindaci a fine mandato Virginio Merola e Andrea Gnassi e i presidenti dei due expò Gianpiero Calzolari e Cagnoni, memoria storica di questo lungo e litigioso fidanzamento che si concretizza ora in matrimonio, è arrivato il via libera. La posa della prima pietra per la costruzione del polo fieristico più grande di Italia. E sicuramente pronto a strappare il primato, da sempre invidiato e osteggiato, alla Fiera di Milano.
Parola d’ordine: fare massa critica in nome di un progetto comune così come auspicato dal ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri che vede nell’aggregazione delle fiere italiane il vero unico strumento per rilanciare il settore che deve mettersi in concorrenza con le Fiere degli altri Paesi e non certo dividersi per bandiere o singoli orticelli locali. Del resto, la strada imboccata già lo scorso giugno quando fu lanciato proprio da Gualtieri il Patto per l’Export per ridare vitalità al sistema Paese, con il sostegno finanziario della Cassa Depositi e Prestiti, è l’unica via, propedeutica non solo alla salvaguardia di un comparto che, fermo da fine febbraio, sta letteralmente sprofondando sotto i colpi della pandemia, ma anche per il perseguimento del ristoro dei bilanci, della ricapitalizzazione e l’avvio di operazioni di investimento di quartieri oggi in crisi.
Se i dettagli dell’operazione raggiunta, anche grazie all’iter avviato, primo in Italia, in Emilia-Romagna con i vertici dell’agenzia controllata dal dicastero di via XX Settembre saranno svelati questa mattina, qualche dato certo già c’è. E sono numeri ufficiali, depositati nei bilanci delle due società fieristiche: BolognaFiere e Ieg-Italian Exhibition Group. Basta una semplice addizione. Se si sommano i ricavi registrati dalla società di via Michelino nel 2019, oltre 170 milioni di euro, con il fatturato dichiarato sempre per lo stesso esercizio da Ieg di quasi 125 milioni di euro si arriva ad un totale di almeno 295 milioni di euro. Una cifra che fa rima con sorpasso. Benché la Fiera di Milano presentò i numeri con cui chiuse il 2019 come i migliori della sua storia, con un incremento del 13% sul 2018, quel risultato record fu di 279,7 milioni di euro. Più di 15 in meno di quanto produrrebbe il neonato polo fieristico, a cui tra l’altro potrebbe unirsi presto anche la Fiera di Parma.
Che il ruolo del governo resti fondamentale, tramite il braccio della società controllata al 100% dal Mef, resta indubbio perché per dirla con quanto avevano ribadito Merola e Gnassi solo qualche settimana fa, in questo momento Bologna e Rimini potrebbero solo unire i propri debiti. Per la iniezione di liquidità e il cronoprogramma di investimenti che i due expo metteranno sul piatto non rimane che aspettare qualche ora per capire quale sarà il percorso individuato per traghettare le Fiere fuori dal pantano.