L’avvocato Marco Ellero, legale del direttore di VicenzaPiù, parlando delle vicende del suo assistito con Marco Milioni lancia un grido d’allarme «che vale per tutte le piccole testate indipendenti» (pubblicato 8 ottobre alle 11.40, aggiornato il 15 alle 9.59)
In questi giorni è ricominciato il processo al tribunale di Vicenza per l’affaire Banca Popolare di Vicenza. La vicenda dell’ex istituto di via Framarin ha avuto svariati rivoli. Tra questi c’è pure quello dei contenziosi giudiziari avviati dall’ex dominus della banca ed ex dominus della Fondazione Roi Gianni Zonin. Giovanni Coviello, direttore del quotidiano berico VicenzaPiù è stato bersagliato proprio dall’ex presidente con una richiesta di danni per i servizi dedicati dalla testata vicentina alla ex popolare.
«Siamo di fronte ad una questione molto seria che va oltre il caso di specie e che ha a che fare con la possibilità che la stampa indipendente in tutto il Paese possa essere oggetto di intimidazioni da parte di gruppi o persone molto influenti in ragione di richieste di risarcimento oggettivamente spropositate» precisa l’avvocato vicentino Marco Ellero (nella video intervista), legale del direttore. A dire il vero non è la prima volta che Coviello si trova a fronteggiare situazioni del genere. Politici, magistrati e pure società, pubbliche e private, di primaria importanza avevano incrociato le lame col direttore tanto da spingere l’Osservatorio sulla libertà di stampa, l’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione, ad includere lo stesso Coviello nell’elenco dei giornalisti minacciati: nel suo caso minacciati con azioni legali considerate in qualche modo spropositate o intimidatorie.
Avvocato Ellero, il caso BpVi si è contraddistinto anche per il contenzioso giudiziario tra l’ex presidente Gianni Zonin ed alcuni giornalisti. Questi ultimi sono più volte stati chiamati in causa. Come mai secondo lei?
«La questione di fondo è che prima che prima che deflagrasse l’affaire delle popolari venete Zonin non era solo una persona stimata. A Vicenza era una persona venerata. Bisogna pertanto entrare in questo ambito psicologico per capire che le azioni giudiziarie da lui avviate da presidente della Fondazione Roi vanno ricondotte ad un individuo che in una certa maniera ha dovuto fare i conti con una stampa che per la prima volta gli chiedeva conto in modo vibrante delle sue condotte passate. L’uomo, che ha una considerazione di sé stesso un tantino elevata, in qualche modo si dev’essere sentito vilipeso. Quasi che le critiche nei suoi confronti fossero un atto di lesa maestà. Di qui i procedimenti giudiziari intentati a carico di diversi giornalisti tra cui il direttore di VicenzaPiu.com Giovanni Coviello, che è assistito da me».
In questo frangente come è andata questa vicenda?
«Un paio d’anni fa Zonin, quale presidente della Roi decise di chiamare in causa Coviello per una serie di servizi che riteneva diffamatori. Lo fece in sede civile chiedendo la cifra monstre di un milione di euro. Noi peraltro ritenevamo la richiesta assolutamente infondata. Ad ogni modo con l’arrivo del nuovo consiglio di amministrazione i vertici del lascito hanno deciso di trovare un accordo per ritirarsi dal contenzioso (gli articoli “sotto accusa”, nel frattempo, erano stati raccolti nel libro dossier “Roi. La Fondazione demolita“, ndr). Nel frattempo un collaboratore del direttore Coviello aveva scritto un corsivo che lo vedeva criticare l’operato di Zonin».
E quindi?
«In quell’articolo raccontò che su Facebook molti internauti avevano reagito alla causa della Roi esprimendo giudizi assai, diciamo così, duri verso l’ex presidente di BpVi: nello specifico non ne menzionò nemmeno uno limitandosi ad inserire un link ad una pagina del noto social network. La semplice presenza del collegamento iper-testuale ha spinto Zonin ad agire ancora per le vie legali: stavolta in sede penale con una querela per diffamazione. Poi è successo qualcosa di davvero singolare».
Sarebbe a dire?
«Il pubblico ministero (la dr.ssa Claudia Brunino, ndr) non ravvedendo alcun reato ha chiesto l’archiviazione, ma il giudice per le indagini preliminari (il dr. Roberto Venditti, lo stesso del processo BPVi, ndr) non è stato dello stesso avviso (per altro estendendo le indagini a chi ha commentato su FB, presumibilmente soci che si ritengono danneggiati dalla banca, ndr). La motivazione, sostanzialmente, è che non si ravvisava l’esimente (causa di esclusione della responsabilità penale) dell’interesse pubblico nell’aver riferito, da parte di VicenzaPiu.com, che su una certa pagina di Facebook vi fossero determinati giudizi, anche obiettivamente offensivi, su Zonin. É una motivazione che mi ha stupito anche perché in controtendenza con la prassi solitamente utilizzata da tutte le testate giornalistiche in Italia».
Perché?
«Mi scusi, mi pare evidente no? La stampa ha sempre debitamente informato i lettori degli attacchi e degli insulti ricevuti via social da vari personaggi pubblici, da Selvaggia Lucarelli, a Laura Boldrini, da Matteo Salvini a Chiara Ferragni… Uno come Zonin, almeno nel Vicentino dopo il putiferio che s’è abbattuto sui risparmiatori, è al centro dell’attenzione più di Fabrizio Corona e di Belen Rodriguez messi insieme. E non capisco che cosa abbia a che fare l’aver reso nota l’esistenza di critiche o insulti all’indirizzo di Zonin con la diffamazione. Comunque in questo caso, come in altri, faremo sentire le nostre ragioni nelle sedi opportune».
Avvocato, lei sta dicendo che ci sono altri procedimenti a carico del suo assistito?
«Sì».
Ovvero?
«Un paio di anni fa su Vicenzapiu.com Coviello in una inchiesta sui centri di formazione diede conto della esistenza di un lungo esposto indirizzato ai vertici della Regione Veneto e poi alla Procura della Repubblica di Venezia nel quale si denunciavano alcune condotte molto dubbie nella gestione dei fondi per la formazione. In quello stesso contesto Coviello parlò della vicinanza della famiglia bassanese Jannacopulos ad uno dei destinatari di quei fondi, ovvero la Irigem».
Si tratta dell’esposto redatto che passò per le mani dell’allora europarlamentare Sergio Berlato oggi consigliere regionale di Fdi?
«Esattamente, è quello».
E poi che cosa è successo?
«Sia alcuni funzionari della Regione, sia la Regione stessa, sia la famiglia Jannacopulos, hanno fatto causa in sede civile a Coviello e al quotidiano da lui diretto per una cifra spropositata. Si parla di centinaia di migliaia di euro. Per quell’inchiesta giornalistica è partito in parallelo anche un procedimento penale con l’ipotesi della diffamazione. Ovviamente noi siamo di parere avverso rispetto a queste critiche visto che il direttore altro non ha fatto che dare conto di alcuni passaggi di un esposto il quale tra l’altro ha generato un fascicolo penale alla procura di Venezia la quale ora dovrà appurare appunto se nella gestione di quei fondi ci sono stati illeciti o meno. Non so se rendo l’idea».
Gli argomenti trattati nei servizi oggetto di contenzioso sono delicati. Lei ritiene che le controparti abbiano agito correttamente? O ritiene che vi siano stati comportamenti tesi in qualche modo a far desistere il direttore dal trattare un dato argomento?
«Veda un po’ lei. Io le dico solo che dalle statistiche ufficiali dei più importanti tribunali si può constatare che quando si giunge a quantificare una condanna in sede di risarcimento nei confronti di un giornalista questa veleggia mediamente sui cinque mila euro, qualche volta tocca i diecimila. In rare eccezioni si arriva a 50mila. Ora chiedere cifre così spropositate, dimentichi oltretutto del peso della testata, perché con tutta la stima per VicenzaPiù quest’ultima non ha la pezzatura di Corsera o Repubblica, la dice lunga sugli intenti di chi decide di far causa ad un cronista».
Serve quindi secondo lei una modifica alle norme?
«Una eventuale modifica della norma richiederebbe un lungo discorso a parte. Già da ora invece, da subito, sono i giudici che dovrebbero cambiare atteggiamento».
In che modo scusi?
«Anzitutto quando gli attori del processo civile, ovvero i denuncianti per usare un termine più colloquiale, alla fine del processo soccombono, cioè vien dato loro torto dovrebbero essere bastonati, mi si passi l’espressione un po’ rustica, dai magistrati che dovrebbero colpirli appioppando agli attori stessi spese legali ai massimi tabellari. Ma in certi casi gli attori dovrebbero essere bastonati sul piano delle spese legali anche quando vincono».
E come mai?
«Mi riferisco a quelle sentenze in cui il danno per diffamazione viene sì accertato, ma per cifre piccole. Se quel processo invece era stato intentato dall’attore con richieste esorbitanti, che sono quasi sempre intimidatorie, allora il giudice dovrebbe tenerne conto. E molto. Se una condotta del genere diventasse prassi allora certe storture verrebbero meno un po’ alla volta».
Perché lei usa il termine storture?
«Perché diciamocelo francamente, la grande firma di una grande testata, il grosso quotidiano o la grossa tv nazionale godono di maggiore copertura. Hanno alle spalle assicurazioni, imprese editoriali strutturate: e soprattutto una influenza sulla opinione pubblica che tendenzialmente mette a riparo costoro da eventuali aberrazioni».
Per i piccoli invece?
«Per i piccoli invece è molto diverso. Una condanna a diecimila euro può mettere in ginocchio un giornalista o la sua testata per sempre. Con conseguenze devastanti per la libera informazione. Provi a pensare al caso Zonin. Prima che deflagrasse il caso solo le piccole testate indipendenti e qualche testata nazionale avevano preso di mira gli affari della banca. Il che tra l’altro molto dice sulla grande stampa regionale che se non sdraiata è spesso addormentata».
Che cosa se ne ricava?
«Bisognerebbe interrogarsi quindi, e molto, sul ruolo dell’Ordine dei giornalisti. Che se serve solo ad innescare le sanzioni del consiglio di disciplina o a difendere la categoria, esclusivamente, e sottolineo questo avverbio, quando si toccano i big delle grandi testate, allora non ha più senso che esista. A fronte di quanto accaduto a Coviello, o in altri casi analoghi, mi sarei aspettato prese di posizione molto più aggressive. Come mi sarei aspettato che la grande stampa, almeno quella regionale, parlasse adeguatamente di queste cose. Ed è un giudizio che vale tanto per i giornalisti quanto per gli editori».
di Marco Milioni