“Armonico” lo chiamano. Perché prende il vento per primo e canta una sola nota. Che sia il debole o forte vento del Sud, del Nord o di altra direzione. E’ lui l’albero che dà l’intonazione, come primo violinista d’orchestra, a tutti gli altri grandi e piccoli alberi strumentisti del Parco. Non è l’albero più vecchio ma forse il più alto. Quello che dà l’allerta, quello che sta in avanguardia. Il primo di sentinella che intrappola l’aria e la lascia filtrare tra le sue aghifoglie; basta ascoltarlo nelle diverse tonalità. Non teme il vento e da più di cent’anni, in una empatica simbiosi, lo affronta, lo accoglie e lo doma. Insieme hanno vinto in quell’infausto giorno del 20 aprile del 1945, contro l’improvvisa violenta e sferzante onda d’urto di 135 bombe di più di due quintali l’una degli angloamericani che hanno raso al suolo edifici e alberi delle Fonti.
Ferito da schegge, ha resistito. E quel giorno non fischiava, ma gridava d’orrore.
Lui più alto dell’Hotel Eden si è piegato in tutte le direzioni, ma non ha ceduto; come era giusto suo dovere, forte della sua flessibilità aerea, con la sua radice apicale e il suo apparato radicale, fissi al terreno.
Guardalo e lui ti comunicherà la sua memoria storica come comunica segnali di vita solidale con il “suo popolo che sta in piedi” come dicevano gli Indiani d’America contemplando i grandi alberi delle foreste.
Egli è un inno alla vita ma ora se lo ascolti nel silenzio ti segnala un grido d’allarme.
Gli alberi hanno memoria e provano dolore; trasmettono suoni sommessi, scricchiolii di rami che si piegano l’un contro l’altro in fruscii di foglie ed esprimono pensieri e sentimenti.
Ma in questi giorni il Parco tace in un silenzio assordante.
Per l’ultima volta vai ad ascoltare Armonico, il solista accarezzato dal suo dolce amico vento perché poi non udrai più il suo suono.
Sarà, infine, una digrignante, stridente nota stonata di una motosega a dargli la morte.
Speriamo che egli riesca, in tempo, ad avvertire il monumentale abete rosso di Calvene, suo fratello, e i due maestosi faggi secolari protetti delle Montagnole per un ripetuto ultimo disperato corale urlo d’aiuto al popolo dei boschi perché scuota la sensibilità umana della nostra Recoaro per mantenerlo in vita.
Gaspare Pozza