Il Condominio. Locali ‘notturni’: quando il rumore configura ipotesi di disturbo occupazioni e riposo persone?

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La vicenda portata avanti alla Corte di Cassazione (Sez. Penale sentenza n. 24397/2022) attiene ad una annosa e ricorrente questione che interessa le immissioni acustiche di rumore provenienti dai locali cosiddetti “notturni”, quali il volume alto della musica e gli schiamazzi degli avventori, oggetto di rimostranza da parte di una molteplicità di persone.

In proposito, è confacente ricordare che, nel nostro ordinamento, oltre alla normativa civilistica vigente, la cui disciplina si rinviene all’art. 844 c.c., ove ricadono fattispecie diverse tra loro, dalla propagazione di odori ai rumori di ogni tipo e genere, con particolare riferimento alle immissioni sonore è prevista anche la configurabilità del reato di cui all’art. 659 Cod. Pen. rubricato “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”.
La ratio della norma penale investe e concerne la tutela dell’ordine pubblico da rumori che assumano i connotati della molestia e del disturbo, appunto, alla quiete di un numero indeterminato di individui.

L’elemento indefettibile affinché possa riconoscersi la rilevanza penale alla condotta del gestore di un esercizio commerciale è individuato, dunque, nella incidenza che la turbativa derivante dai rumori realizza sulla tranquillità della collettività.

Locali “notturni”: quando il rumore configura l’ipotesi di reato di disturbo delle occupazioni e riposo delle persone? La vicenda
Il gestore di un locale “notturno” ha promosso ricorso per cassazione a seguito della sentenza di appello con la quale è stato condannato al pagamento di un’ammenda per aver disturbato le occupazioni ed il riposo delle persone, in violazione dell’art. 659, comma I, Cod. Pen. a causa del volume alto della musica proveniente dalla sua attività e dagli schiamazzi dei frequentatori.

A fondamento delle proprie doglianze, con un unico motivo, il gestore del locale ha sollevato censura in ordine alla intervenuta erronea applicazione del reato di cui all’art. 659 Cod. Pen. al medesimo contestato ed ascritto unitamente la mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza.
Sul punto, il ricorrente ha obiettato la configurabilità della ipotesi prevista I comma del citato articolo, sostenendo che, l’attività svolta, quale discoteca, ricade certamente nella disciplina del II comma essendo da considerarsi “rumorosa” per la sua stessa destinazione.
A tal riguardo, il ricorrente ha argomentato che, diversamente, sarebbe snaturata la ipotesi descritta ed individuato al II comma, il quale adotta un trattamento sanzionatorio di minor rigore proprio in quanto il disturbo arrecato deriva da una attività lavorativa.

Art. 659 Cod. Pen.
Per una compiuta disamina della fattispecie di reato disciplinata dall’art. 659 Cod. Pen. non possiamo prescindere dal rappresentare che nei confronti del titolare di un esercizio pubblico “notturno” sussiste l’obbligo di vigilare sulle immissioni sonore derivanti non solo dalla musica ma, soprattutto, da possibili schiamazzi dei frequentatori, in misura e consistenza tale da violare le norme dettate a tutela dell’ordine e quiete pubblica.
È dirimente, quindi, verificare che il disturbo arrecato possa essere ricondotto ad una condotta omissiva del gestore del locale, quale mancato esercizio del potere di controllo che si realizza in assenza di azioni atte a contenere o impedire la menzionata turbativa.

Sotto tale profilo, l’orientamento della Giurisprudenza di Legittimità è costante nel ravvisare che «nel caso in cui l’attività e il mestiere vengano svolti eccedendo dalle normali attività di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete, il fatto integra la contravvenzione prevista dall’art. 659, comma 1, c.p. (nella specie, secondo la Corte, correttamente era stata ravvisata quest’ultima ipotesi a carico del gestore di un bar, che abusando dell’impianto audio installato, aveva diffuso musica in orario superando i livelli consentiti e arrecando disturbo alle persone)» (Cassazione penale sez. III, 12/01/2017, n.20846).

Per il riconoscimento della commissione del reato di “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” è necessario che il rumore (i) abbia una intensità tale da superare il limite della normale tollerabilità e (ii) possa raggiungere, cagionando nocumento/molestia, un numero di persone indeterminato, ritenuto e considerato l’interesse specificamente tutelato dal legislatore, inerente la pubblica tranquillità, ovvero l’assenza di cause di disturbo della quiete per la generalità di consociati.

Nel caso de quo, l’Autorità (carabinieri) aveva ricevuto più segnalazioni in merito ai rumori provocati dalla attività dell’imputato, tanto per il volume della musica che, ugualmente, per il contegno tenuto dagli avventori del locale.

Al contempo, dette doglianze avevano interessato non unicamente soggetti che abitavano nello stabile, motivo per cui la molestia denunciata coinvolgeva, verosimilmente, un ampio numero di persone.

Rilevato quanto sopra, in punto di circostanze di fatto, la obiezione avanzata dal gestore del locale relativamente alla erronea avvenuta applicazione della fattispecie del I comma dell’art. 659 Cod. Pen., anziché quella del II comma del medesimo articolo, è infondata.

Invero, è confacente rammentare che l’elemento distintivo tra le due ipotesi è costituito dalla origine e fonte del rumore prodotto.
Pertanto, solo qualora la turbativa provenga dall’esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi, la condotta rientra nella previsione del II comma, mentre, laddove le vibrazioni sonore non siano causate dall’esercizio dell’attività lavorativa, ricorre l’ipotesi di cui al comma 1, per la quale occorre che i rumori superino la normale tollerabilità ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo.

Chiarita e precisata detta differenza, non può assumersi, ragionevolmente, che i rumori derivanti dagli schiamazzi degli avventori possano essere ricondotti all’esercizio di una professione o mestiere né, parimenti, si può trascurare l’assenza di controllo da parte del gestore, non essendo stata posta in essere alcuna condotta propedeutica ad impedirli, considerato che è stata realizzata una situazione che ha disturbato un numero indeterminato di persone.

Infine, è appropriato precisare che, lo stesso imputato non ha mosso alcuna contestazione sulla veridicità delle circostanze lamentate in merito alla provenienza delle immissioni acustiche dal suo locale e la mancanza di azioni per porvi rimedio, per cui è risultato sussistente sia l’elemento oggettivo che soggettivo in ordine al compimento del reato ascritto.

Il ricorso è stato, per l’effetto, dichiarato inammissibile.

(Condominioweb.com)
 
 

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