Il CONI e il CSI nella rinascita dello sport italiano nell’immediato dopoguerra

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A destra Luigi Gedda, fondatore e primo presidente del CSI, mentre premia un atleta

(Articolo di Sergio Serafin (ex presidente provinciale CSI), da VicenzaPiù Viva n. 5, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

Il 4 giugno 1944 le truppe americane entrarono in Roma e nella città eterna liberata finiva la guerra. Nei giorni immediatamente successivi fecero ritorno nella capitale: la famiglia reale, il governo presieduto da Ivanoe Bonomi e tutti gli esponenti dell’antifascismo nell’intento di dare vita ad un nuovo assetto delle istituzioni dello Stato. Uno dei compiti più sentiti degli esecutivi che si succedettero prima e dopo la totale liberazione era la defascistizzazione delle istituzioni e l’epurazione degli apparati pubblici compromessi con il regime fascista. A tale scopo vennero nominati dei commissari con il compito, appunto, di liquidare tutti quegli enti che si richiamavano o evocavano in modo specifico quel regime. Tra questi è ben noto il caso dell’AGIP, a commissario del quale venne nominato Enrico Mattei che, come noto, fece invece l’operazione inversa di rilanciare alla grande l’azienda petrolifera.
Una cosa analoga avvenne per il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). Qui venne nominato commissario Giulio Onesti, un avvocato torinese di matrice socialista, che pure pensò bene di far rivivere e ricrescere questa istituzione. Lo convinse il fatto che il fascismo si era collegato allo sport solo marginalmente e in apparenza accontentandosi di saluti romani, di omaggi al duce e di parate paramilitari e quindi relativamente compromesso, ma anche perché lo sport era divenuto un fatto molto popolare e di portata internazionale. Onesti trovò subito un grande alleato nell’on. Giulio Andreotti, giovane sottosegretario alla Presidenza del Consiglio durante i governi De Gasperi. Un’alleanza che divenne di ferro e durò, non senza contrasti, sino alla fine del suo incarico quando nel 1978 fu sostituito da Franco Carraro. Sicuro del suo incarico, Onesti iniziò allora a tessere una vasta rete di rapporti non solo con il mondo politico democristiano, ma anche e in modo non marginale, con quello ecclesiastico. Roma, subito dopo la sua liberazione, vide risorgere con grande fervore ed entusiasmo l’associazionismo cattolico, soprattutto giovanile (già combattuto e soppresso dal fascismo) sotto l’auspicio e la benedizione del papa Pio XII e l’iniziativa di un dinamico promotore, Luigi Gedda. Un illustre medico e scienziato, presidente nazionale della Gioventù Cattolica e poi dell’Azione Cattolica generale, che diventerà, in seguito, protagonista di accese battaglie politiche in occasione delle elezioni del dopoguerra. In questo ambito, ancora nel gennaio del ‘44, nasceva o meglio rinasceva la FASCI (Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche) fondata nel 1906 e soppressa nel 1927, ma con una nuova denominazione: CSI (Centro Sportivo Italiano). Un ente di promozione sportiva di ispirazione cristiana, ma aperto a tutti non solo ai cattolici.
In un quadro di generale distruzione e disorientamento, con una guerra ancora in corso, la Chiesa mediante le parrocchie, si presentava come un’entità attiva, diffusa e significativa.
Distribuite capillarmente su tutto il territorio, le parrocchie erano praticamente le uniche che potevano avvalersi di strutture ricreative e di spazi da dedicare allo sport, all’animazione teatrale, allo scoutismo ed altre attività sociali, con gli oratori o patronati o centri giovanili. Inoltre possedevano quadri dirigenti e operatori capaci di indirizzare e guidare i giovani verso queste attività.

Andreotti, Moro, card. Dante, Colombo, Onesti, mons. Costa
Da sinistra: Andreotti, Moro, card. Dante, Colombo, Onesti, mons. Costa

Il CSI, dal canto suo, iniziò subito una progressiva attività organizzativa e agonistica, soprattutto con il calcio e il ciclismo, allora gli sport più seguiti, divenendo ben presto una realtà palese e numericamente rilevante. Onesti vide allora nel CSI un iniziale interlocutore valido ed importante con cui avviare un rapporto di collaborazione e di sostegno alla sua opera. Avviò quindi una relazione con Gedda e con il suo vice, Aldo Notario, giovane professore torinese dirigente della Gioventù Cattolica. La profferta di collaborazione con il CSI, che peraltro non poneva in discussione il ruolo tecnico del CONI e delle Federazioni, venne accettata di buon grado. Ciò concesse al CSI un riconoscimento come “Ente di propaganda” e un piccolo definito contributo.
Ne conseguì che i tecnici delle Federazioni nazionali si confusero ben presto con le strutture del CSI e viceversa. Un fenomeno di sinergia visibile non solo nel calcio, che aveva una sufficiente autonomia nelle categorie adulte, ma soprattutto in alcune discipline tipiche del CSI, come la pallavolo e il tennis tavolo, mentre il calcio giovanile fu per diverso tempo monopolio quasi esclusivo del CSI , dato che la FIGC se ne disinteressò sino agli anni ‘70.
Il disegno di Onesti mirava ad assegnare al CONI l’egida e il potere su tutto lo sport italiano, non solo quello riguardante gli aspetti della presenza alle olimpiadi, in forza anche di quanto recitava e recita ancora la legge istitutiva del CONI del 1942, rimasta inalterata (salvo il riferimento alla razza) che conferisce al CONI il controllo di tutta l’attività sportiva da chiunque e comunque esercitata. Su questo punto il sodalizio con Andreotti fu determinante. Oltre alla protezione politica il deputato democristiano assicurò al CONI l’autosufficienza finanziaria mediante l’acquisizione del SISAL (poi divenuto Totocalcio) il gioco a pronostici che cominciava a furoreggiare e dare cospicui introiti.
Per il CSI si trattava di perseguire un’accettabile autonomia che Gedda e i suoi collaboratori riuscirono a ottenere e che in seguito interessò anche gli altri Enti di propaganda , poi meglio definiti “Enti di Promozione” che sarebbero poi nati su iniziativa e sotto la protezione dei rispettivi partiti politici: UISP (PCI), Libertas (DC), Fiamma (MSI), AICS (PSI), CSEN (PLI). A cui si sono aggiunti più tardi l’US. ACLI, la PGS (Salesiani) e il CSAI (Confindustria).
A Vicenza la guerra aveva lasciato la città molto martoriata. Oltre alla distruzione di molti edifici del centro e della periferia, gli insistenti bombardamenti avevano reso inagibili tante strutture sportive, tra queste lo stadio Comunale (che nel 1949 sarà intitolato a Romeo Menti a seguito della tragedia di Superga).

Da sinistra: Da sinistra: il dr. Vittorio Morini, don Giuseppe Parolin (assistente CSI) e mons. Carlo Zinato in episcopio a Vicenza nel 1962
Da sinistra: il dr. Vittorio Morini, don Giuseppe Parolin (assistente CSI) e mons. Carlo Zinato in episcopio a Vicenza nel 1962

Le palestre scolastiche ancora utilizzabili e degne di questo nome, rimaste miracolosamente illese, erano solo quelle di Piarda Fanton e della GIL Erano inoltre in qualche modo usufruibili la piastra all’aperto per per il basket (ove mosse i primi passi l’attività federale di pallacanestro, in attesa di poter entrare nel salone della Basilica Palladiana ricostruita) e la pista (non regolare, da 300 metri con il fondo in carbonella, sempre nell’area della GIL. Proprio ben poco. Le conseguenze della guerra, appena conclusa, avevano portato morte, dolore e distruzione. Parlare di sport voleva dire essere fuori di testa, c’era ben altro a cui pensare. Eppure, non c’era solo la ricostruzione materiale.
Occorreva ricostruire un tessuto sociale dilaniato, dopo una guerra disastrosa, una guerra civile e un ventennio da dimenticare. Era necessario ripartire subito con coraggio.
Già nel maggio del’45, a neanche un mese dalla fine del conflitto, la GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica) in una delle prime sedute organizzative della Presidenza diocesana, sulla scia delle direttive romane, diede vita al Comitato provinciale del CSI, che ebbe subito la piena approvazione e la benedizione del vescovo Zinato.
Venne affidata la guida al dr. Angelo Gemo, membro della Presidenza diocesana già durante la guerra e attivo, sia pur non in armi, nella Resistenza, e da don Vincenzo Borsato,
autorevole e illuminato assistente della Gioventù maschile. Il Comitato si strutturò subito con un gruppo di giovani appassionati che andarono a comporre le commissioni tecniche delle varie discipline, e nello stesso settembre avvenne il lancio di un primo torneo di calcio cittadino. In ottobre un torneo provinciale di tennis tavolo e nel novembre l’avvio del primo Campionato provinciale di calcio, nelle due categorie: Allievi (vincitrice l’Azzurra di Sandrigo) e Ragazzi (prima la Fulgor di Malo). Allora i (tanti) giovani cappellani non disdegnavano di far parte del direttivo della squadra o, sollevando la tonaca, di far da arbitri o addirittura da allenatori. Subito ne seguì il sorgere di tante società sportive un po’ in tutta la provincia. Società nate allora con il CSI e alcune ancora oggi in attività nei campionati delle Federazioni.
Stabilizzata la situazione del CONI a livello centrale, Giulio Onesti vide la necessità di occuparsi della periferia del Paese e di estendere alle singole province l’egida e i compiti del Comitato Olimpico. A Vicenza trovò nel dr. Vittorio Morini la persona adatta e disponibile a cui affidare la presidenza provinciale. Era l’anno 1949. Morini aveva un passato di atleta
e di giocatore di pallacanestro, laureato in economia e commercio, funzionario e poi presidente della Camera di Commercio. La sua nomina venne riconosciuta e poi confermata mediante votazione e reiterata ad ogni scadenza di mandato sino al 1994, quando, dopo 45 anni ininterrotti da presidente provinciale, a 79 di età, passò il testimone al prof. Umberto Nicolai.
La realtà generale dello sport nel vicentino, salvo rinascite encomiabili a macchia di leopardo, era da mani sui capelli. In questa condizione il neo presidente vide, come il suo referente massimo a Roma, nell’ente sportivo espressione dell’ associazionismo cattolico una sponda e un alleato già strutturato e organizzato con cui operare.
In tal senso, il solerte responsabile del CONI, favorì presto convenzioni con le Federazioni
e avviando iniziative comuni e in diverse occasioni operando con i tecnici e gli arbitri del
CSI. Il legame si rafforzò con l’organizzazione dei primi Campionati studenteschi, Ma soprattutto curando una costante presenza alle varie occasioni d’incontro (convegni, congressi, assemblee, premiazioni) e alle salienti manifestazioni sportive indette dall’Associazione di ispirazione cristiana, almeno sino alla fine degli anni ‘60.
Nel 1971 il CSI, approvò un nuovo statuto che prevedeva il distacco dall’A.C. e, pur rimanendo fedele alla concezione cristiana dello sport, cessava di definirsi “Associazione cattolica” assumendo quindi una fisionomia più laica e democratica e maggiormente aperta al sociale. Nel contempo maturò la decisione di unirsi e fondersi con la FARI, la consorella Associazione sportiva e ricreativa legata all’A.C. femminile.
Nel 2024 il CSI festeggerà gli 80 anni di vita, a Vicenza sarà per l’anno dopo. Una storia, la sua, ricca di eventi, di una schiera di volontari, di tante società sportive, di innumerevoli competizioni, di progetti ed elaborazioni culturali, che in parte sono diventati cultura diffusa anche negli ambiti più generali dello sport, soprattutto giovanile. Uno sport finalizzato
all’aspetto educativo, di bassa soglia, ma che non ha impedito di far nascere e maturare tanti atleti di alto livello.