Nello scorso articolo si è parlato delle sfide che l’Europa sta mettendo in campo per abbattere le emissioni di CO2 (qui tutti gli articoli della rubrica). Ma perché tutto questo spiegamento di forze? Partiamo dall’inizio: i principali nemici che la transizione ecologica sono i cosiddetti gas serra. Di per sé questi gas esistono in natura e sono indispensabili a creare un ambiente terrestre idoneo alla vita, ma la presenza dell’uomo e delle sue attività ne ha alterato la concentrazione, causando il surriscaldamento globale.
Si calcola che nel mondo, ogni anno, vengano prodotte circa 51 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Questo gas serra concorre per oltre il 70% del surriscaldamento globale. Il più grande produttore di CO2 è la Cina, con più di 13 miliardi di tonnellate all’anno. L’Europa è responsabile di circa 4,5 miliardi. Ma il biossido di carbonio non è l’unico gas serra. Ci sono anche il metano, il monossido di azoto, gli idrofluorocarburi e il vapore acqueo che, vista la sua alta concentrazione, è il principale responsabile del cosiddetto “effetto serra”. Un fenomeno naturale che quando non è alterato dalle attività umane è indispensabile alla vita sulla terra.
L’effetto serra
Alcuni di questi altri gas, anche se sono in minoranza, possono essere anche migliaia di volte più capaci di trattenere il calore rispetto al biossido di carbonio. Alcuni di loro sono già presenti in natura, ma l’attività umana ne ha sbilanciato le quantità. E questo ha creato uno squilibrio nel meccanismo dell’effetto serra, necessario a mantenere una temperatura ideale allo sviluppo della vita sul pianeta, ma che alterandolo finisce per trattenere più calore del dovuto. La funzione di questi gas, infatti, è quella di fornire uno schermo che permette all’energia solare di non rimbalzare fuori dall’atmosfera terrestre. Maggiore è la concentrazione di gas serra nell’atmosfera, più è il calore che ci rimane intrappolato dentro.
Di conseguenza diventa sempre più caldo. La temperatura media globale del pianeta nel decennio 2011-2020 è stata di 1,1 gradi centigradi superiore a quella del periodo 1850- 1900. Non sembra molto, ma è abbastanza da creare parecchi disagi all’ambiente e all’umanità intera. Alluvioni sempre più frequenti, scioglimento di vaste porzioni di ghiaccio nel Circolo polare artico saranno solo alcuni dei fenomeni a cui dovremo abituarci. Per non parlare di altri effetti dell’aumento delle temperature, come la desertificazione di numerose aree del pianeta e l’innalzamento del livello dei mari, con conseguente erosione della costa. Si calcola che entro la fine del secolo il livello del mare potrebbe salire di oltre un metro rispetto a quello attuale. Città costiere come Napoli e Venezia andrebbero sott’acqua.
Gli accordi internazionali
Per far fronte a questa emergenza i governi dei Paesi più industrializzati hanno iniziato dagli anni Settanta a riunirsi e sottoscrivere alcuni negoziati per ridurre le emissioni, non senza sorprese e inversioni di rotta. Il primo, e al momento unico, trattato ad avere effetti giuridicamente vincolanti è il Protocollo di Kyoto del 1997. Sottoscritto da più di 180 Paesi, è entrato in vigore nel 2005. Nel 2015 sono poi seguiti gli Accordi di Parigi, con i quali i Paesi firmatari si sono impegnati a contenere l’aumento della temperatura media globale. Il limite è di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, con un incremento entro 1,5 °C. Un progetto ambizioso, che ha rischiato di essere compromesso dalla procedura di uscita avviata nel 2017 dagli Stati Uniti, ora rientrati.
Il prossimo rendez-vous per discutere sul cambiamento climatico sarà il 26esimo vertice annuale delle Nazioni Unite che si terrà a Glasgow, la Cop26, nel mese di novembre. Un appuntamento che purtroppo parte già con il piede sbagliato. È di qualche giorno fa la notizia che alcuni Paesi stanno cercando di cambiare le conclusioni del report scientifico chiave sul cambiamento climatico prodotto dal Panel Onu. Tra i paesi che fanno lobby per “frenare” la missione di ridurre l’uso dei combustibili fossili, ci sono Arabia Saudita, Giappone e Australia.