Tra gli obiettivi che escono dall’accordo della Cop26, accanto a quello che riguarda le emissioni di metano, spicca quello sulla lotta alla deforestazione. La Dichiarazione di Glasgow sulla tutela dell’ecosistema, sottoscritta anche da Russia, Cina, Indonesia, Colombia, Congo e Brasile, prevede di fermare la deforestazione entro il 2030. L’accordo è stato firmato da 131 Paesi che coprono insieme quasi il 90% delle foreste (o di quelle che rimangono). (qui tutti gli articoli della nostra rubrica “Il costo della transizione ecologica”)
Dalla rivoluzione industriale ai giorni nostri
Nel tempo, più aumentava la popolazione e più servivano terre disponibili alla coltivazione. La soluzione era quindi abbattere gli alberi. La deforestazione è diventata un problema a partire dal 1700, con la rivoluzione industriale. Per fare spazio ai bisogni degli umani, si calcola siano stati tagliati un miliardo e 800 milioni di ettari di foreste: «un po’ meno di due volte la superficie degli Usa», analizzava Stefano Mancuso in un articolo su Repubblica. «Il picco della deforestazione globale – continua l’articolo – si è raggiunto negli anni ‘80 del secolo scorso, con 150 milioni di ettari (un’area più o meno grande quanto la metà dell’India) persi in quel decennio». Poi, le cose fortunatamente sono migliorate: «78 milioni di ettari negli anni ‘90; 52 milioni nel primo decennio del 2000 e, infine, 47 milioni nell’ultimo decennio».
Calcolando che ogni ettaro di verde assorbe all’incirca 20 tonnellate di CO2 all’anno, ci si rende conto di quanto sia importante preservare le foreste che rimangono. Bloccare la distruzione delle aree boschive entro il 2030 è una scelta coraggiosa. Ma alcune Ong si scagliano contro l’accordo della Cop26, sostenendo che l’impegno non tiene conto dei dati drammatici che arrivano dai centri di studio. Secondo l’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (Inpe), tra agosto 2020 e luglio 2021, in Amazzonia sono stati distrutti 13.235 chilometri quadrati di foresta. Questi dati, secondo l’esperto di sostenibilità Carlos Rittl, «sono stati omessi dalla comunità internazionale e dalla Cop26». L’Ong MapBiomas ha calcolato che l’area distrutta equivale a 745 milioni di alberi, riporta il quotidiano brasiliano O Globo.
Brasile vs. Italia
È proprio il Brasile, infatti, l’osservato speciale in questo campo. «L’Amazzonia sta diventando savana», denunciava dalle colonne di Domani Carlos Nobre, uno dei massimi esperti di clima. Oggi l’uomo ha distrutto il 18% della foresta e un ulteriore 17% è in stato di degradazione più o meno avanzata. E questo stravolgimento della flora ha un effetto immediato sul clima dell’intera regione. «La savana cambia il regime delle piogge – spiega sempre Carlos Nobre su Domani – perché traspira molto meno acqua rispetto alla foresta pluviale».
L’Italia sta invece conoscendo un fenomeno inverso. Secondo i dati dell’Inventario nazionale delle foreste, dal 1936 (anno in cui stata fatta la prima analisi della superficie boschiva italiana) ad oggi, i boschi sono cresciuti di oltre il 70%. Un’ottima notizia per l’ecosistema. Nel corso degli anni, infatti, con la migrazione dalle montagne alle zone urbane, molti luoghi una volta adibiti a pascolo sono stati abbandonati, lasciando spazio agli alberi. Il ritmo di rimboschimento in Italia è impressionante: si calcola corrisponda a circa 230 campi da calcio al giorno.
Effetti collaterali della riforestazione
Questo fenomeno, però, ha i suoi contro. Più volume boschivo significa anche più carbonio organico stoccato. Ma con il surriscaldamento globale si va in contro a periodi sempre più lunghi di siccità. Questo vuol dire più incendi e di conseguenza più CO2 liberata. I dati del Sistema informativo europeo sugli incendi segnala che solo nel 2021 in Italia sono bruciati oltre 170mila ettari di foreste. L’Italia è il paese europeo più colpito dagli incendi.
Questo dato riflette un altro problema: la maggior parte dell’area boschiva non è sottoposta alla prevenzione dagli incendi. Solo circoscrivendo le aree verdi al piano di gestione forestale è possibile scongiurare che migliaia di ettari vengano ogni anno consumati dal fuoco. In Italia, però, solamente il 15% delle foreste sottosta a un piano di tutela. Il restante 85% è esente da una programmazione strategica.