“Il costo della transizione ecologica”. Quanto inquina il digitale?

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Smartphone
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A vedere dalle risorse stanziate dal Pnrr per la transizione digitale – oltre 42 miliardi di euro – sembra che smartphone e computer risolveranno il problema dell’inquinamento. Eppure anche il digitale inquina, e non poco. Ma purtroppo, come denunciava in un articolo il Corriere della Sera il 25 ottobre, «L’impatto di Internet sul riscaldamento globale non è in agenda», nonostante il digitale sia destinato a espandersi ancora nei prossimi anni. (qui tutti gli articoli della nostra rubrica “Il costo della transizione ecologica”)

Tanti smartphone, tante emissioni

Diamo qualche numero. In un articolo del mensile Le Monde diplomatique si legge: «L’industria digitale globale consuma come tre volte la Francia o il Regno Unito». Secondo l’articolo, le tecnologie digitali sono infatti responsabili del 4% delle emissioni globali di CO2. La maggior parte dei gas serra è generato dai supporti con i quali navighiamo su Internet: cellulari, smartphone, tablet, computer e pc. Se pensiamo che nel mondo oggi 5,6 miliardi di persone hanno almeno un telefonino, ci rendiamo conto di quante risorse siano necessarie.

Circa il 70% dei telefonini nel mondo, poi, sono smartphone, ovvero dispositivi che si collegano a Internet. Dall’ultima edizione del Mobility Report di Ericsson si scopre che le Sim che circolano nel mondo sono 7,9 miliardi, una quantità superiore addirittura a tutti gli abitanti della Terra. Uno smartphone è composto da diversi elementi. Il titanio è utilizzato nei chip, le batterie al litio sono fatte con 3,5 grammi di cobalto e 1 grammo di cosiddette “terre rare”. Difficili da estrarre poiché si trovano sotto diverse forme fisiche, le terre rare sono indispensabili per almeno 200 prodotti: dai microchip ai computer, fino ai televisori. E poi ancora: rame, ferro, argento, oro, palladio e plastica. Oltre il 90% delle componenti dei nostri telefonini sarebbe riciclabile, ma alla fine finiscono quasi tutti al macero.

Quanto impatta il digitale?

Per calcolare l’impatto «materiale» dei nostri consumi dovremmo usare il Mips, il «material imput per service unit», ovvero l’unità di misura che calcola la quantità di risorse necessarie per un prodotto o un servizio. Visto che si parla di telefonini, il nostro smartphone ci “costa” 183 chilogrammi di risorse per 150 grammi di prodotto finito. Ogni minuto di chiamata comporta un utilizzo di 200 grammi di risorse. Un sms 632 grammi: più di mezzo chilo! Fortuna che si usa Whatsapp ora, verrebbe da dire.

Ma poi si scopre che anche i dati Internet che produciamo in ogni momento non sono da meno. Ogni gigabyte scambiato su Internet emette da 28 a 63 grammi di anidride carbonica. Guardarsi un film potrebbe arrivare a “pesare” due etti di anidride carbonica. Un solo server – ovvero un computer con alte prestazioni che fornisce un servizio come Facebook o la mail – in un anno può arrivare a produrre fino a 5 tonnellate di CO2.

E poi ci sono le Big Tech. La più inquinante è Amazon: nel 2020 ha emesso quasi 55 milioni di tonnellate di CO2, incluso il trasporto pacchi. Seconda classificata è Samsung, con 29 milioni. Segue poi Google che, sebbene sia un’azienda che opera solo sul Web, nel 2020 ha contribuito a inquinare per 12,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Calcolando che ogni ettaro di foresta cattura in media 74 tonnellate di anidride carbonica, Google dovrebbe piantare 170 mila ettari di bosco all’anno per compensare tutto quello che inquina.

Se vogliamo poi arrivare alla neutralità ambientale entro il 2050, si dovrebbe quindi trovare il modo di rendere sostenibile tutto il mondo digitale che sta correndo intorno a noi. Perché, se il traffico Internet non si vede, non vuol dire che non inquini.