L’editoriale del settimanale “Avvertenze”, che esce ogni mercoledì mattina, fa il punto sociale, politico ed economico sulle associazioni di consumatori. Nella crisi italiana, europea e mondiale che radicalmente cambia abitudini e prospettive, in un regime autoreferenziale che arranca per non affossarsi, stanno estinguendo il loro servizio… quando e se lo stesso ci sia stato.
C’è chi, soprattutto in questa campagna elettorale, ce l’ha con le associazioni di consumatori perché – sostiene – i soggetti delle nostre economie non sarebbero i consumatori come la società consumistica vorrebbe far credere, ma i lavoratori. C’è anche fior fiore di pensieri politici ed economici che da anni sostengono che non debba essere l’economia (quindi imprese, consumatori e lavoratori) il perno di una società, ma cittadini e istituzioni. Troviamo i consumi (da cui l’inflazione), ma verso i consumatori troviamo solo chi vuol vendere loro qualcosa. Consumatori sono tutti – quelli delle Ferrari/Rolex e delle verdure al mercato -, per cui una sorta di “partito dei consumatori” è difficile anche solo pensarlo, ché difficilmente potrebbe confrontarsi con altri partiti e auspicare modelli di vita (1).
Eppure, ci sono decine e decine di associazioni che dicono di rappresentare i consumatori, con differenze talvolta marginali che gran parte delle persone non conoscono e – certezza maturata dopo oltre trenta anni di attività – verso cui non mostrano curiosità.
Si possono affermare e difendere i diritti dei consumatori in tanti modi, ma non è determinante essere una cosiddetta associazione, e pur se alcune associazioni sono decisamente orientate/schierate verso una ideologia o un’altra, sono tali solo per affezionati: per l’individuo consumatore conta chi gli risolve il problema (foss’anche – purtroppo – forzando/ingannando la legge) mentre per i media conta chi “sbraita” di più contro un aumento di prezzo (2).
I fatti tragici di questi ultimi anni hanno evidenziato come le associazioni dei consumatori contano quanto il due di picche per decisioni determinanti la vita delle persone.
Si pensi ai vaccini anti covid. Noi di Aduc li abbiamo appoggiati, stimolati e propagandati, e se altre associazioni ne hanno parlato poco per timore di doversi schierare (sopravvalutando, come hanno fatto i media, i no-vax) per non rendersi invise a parte della popolazione, sia Aduc che queste ultime associazioni non hanno lasciato un’impronta. Il cliché mediatico e politico è sempre di considerarle marginali, usandole per rendersi belli perché, se “lo dicono i consumatori”, qualcuno crede che sia oro colato.
Si pensi alla crisi energetica. Nella vaghezza di tutti per cercare di farsi meno male (3), a parte qualche consiglio che se anche non viene dato nessuno se ne accorge (accendi quello, spegni quell’altro, etc), ogni associazione (4) vaga in un ampio nulla più di quello in cui già vaga il politico medio che, a differenza delle associazioni, un qualche potere ce l’ha.
Sulla guerra – poi – che non può non riguardare qualunque individuo e soggetto della società, l’astrattezza è maggiore. Tra i politici – specialmente in questa campagna elettorale (5) – si delineano i pro o contro l’invasione russa dell’Ucraina… ma le associazioni – quelle rare volte che si pronunciano in merito, incluse le più scalmanate alla ricerca di visibilità a qualunque costo – sembrano di un altro pianeta, o se dicono qualcosa di pertinente… come se non ci fossero.
A partire da queste tre realtà tragiche che, di riffa o di raffa, coinvolgono tutti, sembra che le associazioni di consumatori non abbiano qualcosa da proporre, gestire e realizzare, ma solo affiancarsi alla “caciara” diffusa (6).
Prende corpo così il titolo di questa riflessione:
“il crepuscolo delle associazioni di consumatori?”
Il consumerismo (7), al pari di altri “ismi” si dimostra negativo per interessi e benessere delle persone. Ma nonostante questo, proprio come per altri “ismi”, in nome di una presunta disponibilità civica, viene foraggiato con soldi pubblici, perché sia corporazione, ingabbiato nelle vie ufficiali dell’assenso e del dissenso, strumentale e ricattabile (domabile). Lo Stato assorbe e fa propri gli “ismi”, travolgendoli nella propria incapacità e mostruosità burocratica distruttiva di se stesso (8).
A questo punto ci starebbe bene la cantilena… Aduc è “out”, non prendiamo soldi dallo Stato per scelta, nonostante i diversi associati (9) “non abbiamo neanche gli occhi per piangere”, e facciamo collette continue e sempre insufficienti per far fronte ai più elementari bisogni di sopravvivenza, bla bla bla. E se lo Stato dovesse fallire non ci porterebbe con sé…
… Cantilena che non cambia le osservazioni fatte, chè la valutazione di inutilità e “mosca cocchiera” del regime in qualche modo ci coinvolge. Certo, Aduc si basa sull’informazione agli individui e non la formazione dei sudditi, su volontariato di professionisti e non professionalità di volontari, ma esser liberi davanti ad uno specchio non è libertà: pur non avendo abbracciato consumerismo e/o corporativismo, il titolo crepuscolare di questa riflessione coinvolge anche Aduc. Anzi, forse più di altre, visto che Aduc vive non per esserci ma per fare, non attenti al portafoglio (che se ne può sempre trovare un altro in qualunque regime) ma al bene dell’altro… e anche qui bla bla bla.
Osserviamo dentro questa voragine aperta sulle certezze, e prima che la stessa ci inghiotta, se dobbiamo estinguerci lo si faccia a ragion veduta e per – nuovi – essere utili ai tanti altri… che non verranno mai a mancare.
Qui per idee, lamentele, pernacchie e commiserazioni
Qui, per darci un po’ di soldi per pagare gli affitti
NOTE
1 – Una dicotomia, quindi, tra consumatori e altri attori che esiste solo nella testa (ideologia) di chi concepisce la società come potere di una “classe” sulle altre e non come convivenza tra individui, cioè non appartenenti ad una classe piuttosto che un’altra…. anche perché oggi le classi otto/novecentesche non esistono più.
2 – nei media, inoltre, conta essere amico dell’amico, etc. … anche se questo non necessariamente squalifichi la professionalità di alcuni media e di alcuni consulenti di associazioni.
Inoltre, come avviene non solo per le associazioni di consumatori, spesso i media vogliono sentirsi fare il commento che loro ritengono opportuno e, con associazioni che non hanno potere e contano poco, hanno buon gioco.
3 – parlare di “cercare una soluzione”, invece di farsi meno male, ci pare – allo stato dei fatti – inadatto a chiunque.
4 – Aduc inclusa, per quanto si sforzi di essere d’aiuto, anche sostenendo in modo ragionato, critico e costruttivo le “iniziative” di governo e Ue senza partecipare al chiacchiericcio di chi si parla addosso.
5 – anche e soprattutto perché ce ne sono alcuni che un giorno dicono una cosa e il giorno dopo il perfetto contrario.. si chiama opportunismo e chi lo pratica crediamo si schieri oggettivamente a favore dell’invasore.
6 – come il classico commentatore da bar, che quando esci dal negozio ti sei già dimenticato cosa ha detto e della sua esistenza.
7 – una sorta di ideologia del consumo, inventata non si sa bene da chi nella seconda metà del secolo scorso per far credere che il consumo sia un dio della stessa importanza degli altri “ismi” che, più o meno, nei millenni e nei secoli, illudono gli individui per farli sentire meno soli.
8 – come, a livello mitologico, una sorta di “muoia Sansone con tutti i filistei”.
9 – 121.309 mentre scriviamo.
l’associazione non percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille)
La sua forza economica sono iscrizioni e contributi donati da chi la ritiene utile
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Fonte: Il crepuscolo delle associazioni di consumatori? Tra covid, energia e guerra