Il decreto Pillon, egoismo e malafede alla corte di Salomone

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Quando davanti a Salomone furono portate due donne che si contendevano l’unico figlio, il gran re d’Israele decise che l’oggetto della contesa fosse diviso in due parti uguali, una per ognuna delle madri. Lo smascheramento finale, ad opera di una ragione geometrica, apparentemente incurante dei sentimenti e delle relazioni, fu permesso in una società ancestrale dov’era ancora presente il sacro rispetto del vincolo. Oggi, nella famiglia moderna, si affrontano più interessi inconciliabili, a cui il salomone bresciano Pillon e una piccola pattuglia di alleati giallo verdi, rispondono con un animo gender-neutral.


Dal 1970 ad oggi i matrimoni sono ridotti a meno della metà, e molti di essi sono merito di unioni tra stranieri e unioni miste. Le separazioni stanno raggiungendo il 50% delle nozze celebrate, e la proposta di separazione giudiziale è fatta quattro volte su cinque dalla moglie. Questi i dati. E se si aggiunge che il tasso di fecondità totale in Italia è di 1,34 (peggio di noi nel pianeta solo i popoli slavi), si capisce che siamo in guerra. Si capisce che, per qualsivoglia ragione, se la nostra società non ha imboccato proprio la via dell’estinzione, allora è di certo prossima a quella di un formidabile ridimensionamento.

La famiglia, così com’è stata concepita fino a un secolo fa, è il luogo della gratuità dei sentimenti e dei sacrifici dei singoli per il benessere dei consanguinei. La devastazione che il Capitale ha fatto in questo nucleo primigenio, creando soggetti economici individuali e con propri salari, ha divaricato inevitabilmente i destini di ogni suo componente. La legislazione che è seguita non ha fatto altro che ratificare questa sciagurata circostanza. Nell’attuale famiglia, e nelle considerazioni della politica, si oppongono l’interesse della prole, gli obblighi di assistenza morale e materiale, la realizzazione civile e sociale dei partners, tutte cose che alla lunga non possono che confliggere.

Un torbido anelito di libertà si leva da ognuno dei componenti del nucleo familiare, che chiedono tutela ad un’autorità esterna attenta all’interesse del singolo invece che alla difesa del vincolo. Ecco come, la famiglia, organismo non previsto dal patto Stato-cittadino, fa la fine del vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro. Ormai solo beffarde prove linguistiche (ad es. con-sorte) testimoniano una realtà che non esiste più, travolta dalla polverizzazione morale che il denaro ha portato nella nostra società. Il progetto spirituale della famiglia tradizionale è completamente distrutto.

Ma gli interessi individuali in un organismo plurale sono stati finora difesi umiliando la figura paterna e affievolendo i diritti maritali, l’unica figura a cui è stata imposta per tradizione e per legge la responsabilità delle sorti economiche e del grado morale dei singoli. Perciò il giovane maschio occidentale, in attesa dell’Eva futura, preferisce una vita in solitudine di affetti; è per questo che si moltiplicano le unioni occasionali, clandestine, e le convivenze, perché il diritto di famiglia erede di una cultura in rivolta contro il padre, non è capace più di garantirlo.

Ed ecco che arriva Salomone Pillon ad assicurare nelle separazioni pari dignità ai progetti spirituali, ad impedire lo scippo della paternità, il disastro umano ed economico per tanti uomini separati. Alla base di questa legge (clicca qui) sta l’equipollenza tra le figure genitoriali. E istantaneamente si è sollevata una miriade di critiche ad affermare che “la mamma è sempre la mamma”, che il bambino non può essere geometricamente diviso, che le donne sottoposte a violenza domestica non se la sentirebbero più di separarsi. Tutte opposizioni che, pur di non rinunciare al proprio tornaconto, si ricordano di un interesse del figlio a non essere palleggiato da una casa all’altra, quando poco prima erano dimentiche del suo interesse ad avere due genitori, avendolo reso spesso orfano di un padre vivo.

Non ne parliamo poi se si toccano i soldi! Il ridimensionamento dell’assegno, la fine del matrimonio come un sicuro affare: di quella comoda condizione che, se non si può più guadagnare dal successo di un uomo, lo si possa almeno fare dalla sua rovina, hanno fatto saltare i nervi a ben più d’una comare. E poi che c’entra la violenza domestica! Ancora con questo refrain italico che vuole incatenare milioni di persone alla malasorte di alcune decine di casi? Le leggi si fanno per la totalità dei cittadini, non per pochi singoli. Il fatto è che l’animo femminile è stato pronto a farsi blandire dalle promesse di opportunità anarchiche contenute nell’ordine capitalistico, ma ha preteso la loro soddisfazione all’interno della famiglia, cioè in quell’universo che invece avrebbe dovuto difendere.

Il decreto gialloverde è stato ispirato da un animo crudamente illuminista, e molti aspetti devono essere emendati, ma il senso di giustizia che lo pervade è una buona base di partenza. Nei due secoli e più che ci separano dalle dichiarazioni di Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft abbiamo speso metà del tempo a far emergere l’elemento femminile dal contesto sociale e l’altra metà a farlo diventare dominante. E’ giunta l’ora di pacificarci e avviare un’epoca di armonia. Riuscire a imbrigliare i rapporti uomo-donna in una legge (o più di una) è pura illusione, e la malafede rende i fronti ancora più nemici. Giacché la vera soluzione resta uguale a quella di tre millenni fa: “No, disse una delle due madri, date all’altra il bambino, ma non uccidetelo“.