Il “docente esperto”, l’ultima trovata di un governo dimissionario per distruggere la scuola

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Docente esperto, governo Draghi, ministro Bianchi
Docente esperto, governo Draghi, ministro Bianchi

Intanto va detto che la simpatica iniziativa del “docente esperto”, inserita nel Decreto Aiuti bis, alla quale il governo dimissionario di Mario Draghi, con il supporto immancabile del ministro della Pubblica Istruzione Patrizio Bianchi, ha dato il via libera nella calura di agosto, per poi proseguire tutto il suo iter parlamentare in un autunno che si preannuncia caldissimo in vista delle elezioni, avrà effetto a partire dal 2032.

E sì, non è affatto un refuso, infatti proprio nel 2032, cioè tra 10 anni, il docente esperto, cioè il docente che sarà giudicato “esperto” da una commissione di suoi colleghi e dirigenti, avrà diritto ad un compenso extra annuale di 5.650 euro lordi, circostanza che secondo il ministro dovrebbe introdurre il merito all’interno della scuola, ma che, nei fatti, ha indotto molti e molte docenti, anche ai primi anni di servizio, a tentare invano il conto degli anni di servizio per capire se in quel tempo lontano saranno già in grado di abbandonare quel manicomio istituzionale che è diventato la scuola.

Ora, è fin troppo ovvio che il fatto di dover pensare ad un aumento salariale vincolato a determinati parametri a regime tra dieci (sic!) anni è davvero ridicolo, oltre che senza precedenti nella storia dell’economia (e pensare che l’Unione Sovietica si era limitata solo ai piani quinquennali!).

Del resto, nel caso non ce ne fossimo accorti, ad oggi, che siamo nel 2022, e non già nel 2032, la situazione dei salari da lavoro dipendente, in linea generale, è disastrosa. Non solo l’Italia è colpevolmente tra i sei paesi dell’UE, su un totale di ventisette, che non ha mai varato una legge sul salario minimo garantito, pur essendoci su questo una normativa europea, ma i dati ISTAT del 2020, quindi prima che scoppiasse la pandemia e la guerra, ci dicono che lo stipendio medio in Italia era di 2.102 euro, esattamente a metà classifica tra i paesi europei, escludendo la “virtuosa” Svizzera e il Regno Unito.

Se è vero che nel 2020 gli stipendi degli insegnanti si mantenevano esattamente sulla media nazionale riportata dai dati ISTAT, non bisogna dimenticare che dal marzo 2020 si è abbattuta sul mondo intero una pandemia disastrosa e, come se non bastasse, una guerra tra Russia e Ucraina, che ha avuto pesanti ripercussioni economiche sul nostro Paese.

È accaduto, in sostanza, che la strana mescolanza di stagnazione economica, inflazione galoppante nel settore energetico e non solo (due calamità socio-economiche che combinate insieme generano un mostro recessivo noto come stagflazione) e contratto collettivo di categoria bloccato da anni ha generato una caduta vertiginosa del potere d’acquisto degli insegnanti, i quali hanno usufruito anche dei 200 euro una tantum destinati ai redditi inferiori ai 35.000 euro, quando, in reatà, avrebbero bisogno di consistenti aumenti saariali in modo da adeguare i loro stipendi a quelli dei colleghi e delle colleghe europee.

Ma venendo nel merito della questione in oggetto, in estrema sintesi, ogni insegnante di ruolo che aspiri a diventare docente esperto dovrà superare con profitto tre percorsi formativi di durata triennale; quindi, dopo ben nove anni di formazione, frequentati con grande dispendio di energie, tempo e danaro, al di fuori dell’orario di servizio, finalmente il docente-aspirante-esperto rientrerà in una classifica e potrà così incrociare le dita e sperare di far parte, in base alle valutazioni ottenute, degli ottomila docenti esperti (tale è infatti il contingente previsto per ciascuno degli anni 2032/2033, 2033/2034, 2034/2035 e 2035/2036).

Già questi tortuosi meccanismi basterebbero a scoraggiare, pensiamo, persino i più motivati tra chi, tra gli e le insegnanti, non sta nella pelle all’idea di potersi fregiare del nuovo titolo ottenuto dopo tanti sacrifici. Ma è una volta raggiunta la tanto agognata qualifica di docente esperto/a – per ottenere la quale, è bene ribadirlo, vengono valutati in modo a dir poco effimero sia i titoli accademici ottenuti sia le eventuali pubblicazioni collegate alle discipline insegnate – che si realizza il colpo di scena paradossale di questo ennesimo tentativo non di riformare, ma di rendere sempre più informe, tortuosa, sfilacciata e dispersiva, la professione insegnante: la nuova qualifica, ottenuta dopo nove anni di sudati studi, non comporterà alcuna nuova funzione oltre quella dell’insegnamento!

A questo punto il senso di voler dotare le istituzioni scolastiche di personale aggiornato e formato, non nelle discipline insegnate, di cui dovrebbe essere già esperto, ma di questioni collaterali all’insegnamento, per poi lasciarlo utilizzato nei suoi vecchi panni di mero docente, ci sfugge.

Sarà forse un modo, come prevede il DL n. 36 convertito nella Legge n. 79 del 29 giugno 2022, di formare figure di sistema destinate al middle management della scuola che dovranno assistere il Dirigente nella transizione verso l’autonomia differenziata?

Insomma, ciò che ad oggi, in questa fase confusa e concitata di un governo dimissionario, che dovrebbe limitarsi all’ordinaria amministrazione, ci sembra di scorgere è un provvedimento che tenderebbe a stimolare nei docenti una motivazione che è solo estrinseca, subordinata esclusivamente ad un aumento stipendiale proposto una tantum e non collegata ad un progresso di carriera, ad una mobilità ascendente, con possibilità di accedere a funzioni più complesse, come ad esempio, anche quella di Dirigente, nel caso di ottime capacità di amministrazione, oppure di accesso a ruoli di docenza universitaria, in caso di comprovate attitudini alla ricerca e alla didattica.

Ma, forse, non possiamo ancora capire tutto, noi docenti del 2022 non-ancora-esperti.

Di Michele Lucivero e Andrea Petracca.


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a cura di Michele Lucivero

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