Il fondatore di Internet Vint Cerf, la Repubblica: “In 5 miliardi sulla rete ma ancora troppi divari”

Parla uno dei "padri fondatori di Internet", che ha inventato a inizio anni 70 i protocolli TCP/IP insieme a Robert Kahn, altro informatico statunitense

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Vint Cerf, uno dei padri fondatori di Internet
Vint Cerf, uno dei padri fondatori di Internet
Di Riccardo Luna, da la Repubblica. Fra qualche giorno gli utenti di Internet raggiungeranno i cinque miliardi. Il primo miliardo fu raggiunto nel 2005; il secondo nel 2010; il terzo nel 2014; a inizio 2020, un anno e mezzo fa, eravamo a quattro miliardi. L’accelerazione è evidente. È dipeso dalla pandemia?
E adesso che torniamo prudentemente alla vita di prima che accadrà? Nella sua casa in Virginia, Vint Cerf guarda al futuro con il solito ottimismo e non solo perché lo scorso anno il covid lo ha battuto nonostante i 77 anni portati con eleganza. Nel 1973, assieme a Bob Kahn, ha sviluppato il protocollo che ha consentito alla rete fino a quel momento chiamata Arpanet, di diventare Internet. Da molti anni è uno dei vice presidenti di Google con il titolo di “primo evangelista”.
Eppure non c’è trionfalismo nelle sue parole dopo un anno in cui Internet a molti ha «salvato la vita», consentendo di tenere aperte scuole, aziende e i canali di comunicazione fra le persone. «Ce l’avremmo fatta anche senza» dice.
«Nel 1918 ci fu una epidemia terribile ed è stata superata. Certo il fatto che la gente potesse lavorare attraverso una videochiamata è stato di grande aiuto, ma ci ha anche ricordato che alcuni lavori non si possono fare da remoto. Abbiamo visto quanto iniquo sia stato l’impatto della pandemia a seconda del lavoro o delle possibilità economiche.
Persone di etnie o razze diverse hanno reagito diversamente. E queste iniquità rafforzano il desiderio di costruire una società più equa per tutti: ciò riguarda anche Internet, che è un mezzo potentissimo ma se non è accessibile o è troppo costoso, non serve a niente».
Pensa che il diritto a essere connessi possa diventare un diritto fondamentale come le libertà di espressione?
«Mi sono occupato a lungo di questo tema e ritengo che no, non dovremmo considerare Internet alla stregua di un diritto umano. Il diritto di accedere alle informazioni è fondamentale, certo, ma sarebbe sbagliato elevare Internet perché domani potrebbe esserci una tecnologia migliore. Nell’800 il cavallo era importantissimo, nel ‘900 meno. Con questo non voglio sminuire Internet: togliere a qualcuno la possibilità di accedere alla rete è una violazione dei suoi diritti, ma dovremmo cercare di cogliere le sfumature».
Ha costruito Internet, cosa può esserci di migliore?
«Dovremmo guardare le cose in prospettiva storica. Nel 1876 Alexander Graham Bell non pensava certo agli smartphone quando inventò il telefono. E per accedere a Internet trenta anni fa serviva la connessione telefonica. Ora Elon Musk sta provando a connettere le aree sperdute del mondo via satellite. E quelli che lavorano ad un Internet interplanetario hanno dovuto abbandonare il mio protocollo per tenere conto delle enormi distanze. Le tecnologie cambiano».
Durante la pandemia, tutti
eravamo sempre connessi e la rete ha retto benissimo. Sorpreso?
«No, dal 1983 ad oggi il sistema è cresciuto di 10 milioni di volte. La tecnologia si è adattata alla domanda. Quello che facciamo con lo streaming dei video qualche anno fa era impensabile».
Tra poco saremmo connessi in 5 miliardi: cosa resta da fare?
«Dobbiamo colmare i divari, portando la connessione ovunque.
Sta già accadendo, con il satellite e con il 5G, ma la questione diventerà economica. Non tutti potranno permettersi l’accesso alla rete. E poi c’è un divario funzionale che riguarda la lingua in cui trovi le informazioni o le persone con disturbi motori, di vista e udito: faticano con applicazioni non studiate anche per loro. Dobbiamo lavorare perché nessuno sia escluso».
Cosa accadrà adesso con il ritorno alla nornalità?
«L’accesso a Internet aumenterà ancora perché tutti ne hanno capito l’importanza. Penso al lavoro da remoto, all’insegnamento a distanza, ma anche alle visite mediche… ci sarà un’enorme spinta a connettersi. La seconda è che ci sarà un coinvolgimento sempre maggiore delle agenzie spaziali per costruire una Internet che porti la connessione ovunque, anche sopra gli oceani. Infine con più persone connesse crescerà il bisogno di insegnare loro a stare in rete».
Da qualche anno si dice che Internet è diventato un sistema per amplificare notizie false e discorsi di odio. Che fare?
«Dovremo insegnare alla persone a distinguere le informazioni giuste e quelle sbagliate. La gente deve imparare a pensare in maniera critica rispetto a quello che accade in rete. Le piattaforme possono cercare di proteggerci dai pericoli, per esempio attraverso un preciso ordine di visibilità che privilegi i contenuti di qualità, ma il nostro alleato migliore è la nostra testa.
Nessun algoritmo da solo può farcela. La soluzione a questo problema, che esiste, non può essere solo tecnologica: è culturale».
Le piattaforme hanno il diritto di bannare qualcuno a vita come è accaduto a Donald Trump?
«È difficile rispondere. C’è molta pressione per farci cancellare notizie false e nocive. A volte siamo costretti a farlo. Non è la soluzione che preferisco. Le persone dovrebbero decidere da sole. Non so se è il momento di rivedere la legislazione, ma è il momento di parlarne».
Si parla spesso del computer quantistico: cos’è esattamente?
«La possibilità di risolvere problemi complicatissimi in tempi brevissimi.
Ma è efficace solo per certi tipi di problemi. E stiamo iniziando a costruire i computer solo adesso».
Cos’è per lei il futuro?
«Il futuro lo costruisce chi è insoddisfatto, da sempre ci evolviamo perché qualcuno è insoddisfatto di come stanno le cose. Invito tutti a essere un po’ insoddisfatti».