Dal castello di Donnafugata al palazzo della Fondazione Roi: il principe Fabrizio di Salina resuscita nel vicepresidente mons. Gasparini. Le 4 decisioni per esorcizzare il Gattopardo

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Quando i 19 novembre titolavamo “Paola Marini chiude la cinquina del cda della Fondazione Roi: speriamo che con lei, Menti e Passarin si apra una nuova era nonostante Gasparini e Rossi di Schio griffati Zonin” all’interno dell’articolo richiamavamo chi di dovere a un minimo di senso di dignità scrivendo: “vedremo quanto vorranno veramente voltare pagina i 5 consiglieri ora in carica fin dai primi atti dopo la nomina del presidente (si spera che il Comune di Vicenza recuperi almeno il suo ruolo centrale con Passarin al vertice della Roi anche se i titoli accademici di Marini sono notevoli)“.


Scrivevamo così perché, dopo l’abominevole statuto lasciato in eredità alla città di Vicenza dal cda post Gianni Zonin con l’inconsapevole Ilvo Diamanti, l’inconsistente Giovanna Grossato e Andrea Valmarana, il fine “curatore” dei magheggi dei quattro consiglieri rimasti a tutelare non la memoria ma l’oblio delle malefatte di chi, a capo della Roi dal 2009 e della BPVi per 20 anni, demolì la fondazione dopo aver sbancato Vicenza, ancora speravamo che fosse innalzato ai vertici dell’istituzione che avrebbe dovuto e  dovrebbe curarsi solo dei musei civici cittadini nessuno dei due consiglieri in quota marciume precedente, mons. Francesco Gasparini (ora in quota diocesi di Vicenza) e Giovanna Rossi di Schio (designata dal Fai, Fondo Ambiente Italiano), che hanno impedito fino in fondo l’azione di responsabilità nei confronti i Gianni Zonin e dei precedenti Cda profanando fino all’ultimo le volontà del marchese Giuseppe Roi.

E invece no: se si è evitato, nelle mille trattative che prima hanno portato alla complessa cooptazione di Paola Marini, degnissima presidente in pectore e da ieri ufficializzata in quel ruolo, non si è riusciti a farle sedere accanto come vice presidente uno dei due altri membri non coperti dalle croste del passato, il neo direttore dei musei civici del Comune Mauro Passarin (membro di diritto) e Paolo Menti (in quota Accademia olimpica), ma, pur se salvati dall’avere in quella significativa posizione Giovanna Rossi di Schio, moglie di Alvise, braccio destro storico di Zonin, e presidente del fai di Vicenza avendo per vice Silvana Zuffellato, moglie dell’ex bi-presidente di banca e Roi, il direttore del museo diocesano, che nulla ha a  che vedere con i musei civici e anzi in loro “concorrenza”, è stato nominato vice di Marini, magari per frenarne gli eccessi anti azione di responsabilità e lasciare sola Giovanna la scledense.

Brutta storia ancora quella della Fondazione ma per far capire ai due consiglieri nostalgici dell’era Zonin che sarebbe opportuno che una tornasse ad occuparsi della cura del patrimonio d’arte e natura italiano e l’altro si ricordasse che la tonaca l’ha presa per la cura delle anime, non per comprare anche con i soldi della Roi il ritratto del Vescovo Matteo Priuli (nella foto) e ricevere indebiti contributi, limitiamoci per ora ad elencare le decisioni che i tre nuovi dovranno imporre se vorranno veramente voltare pagina:

1 – l’approvazione immediata dell’azione di responsabilità contro Zonin e, si spera, i precedenti amministratori coinvolti nell’incauto acquisto di 29 milioni di euro di azioni BPVi e dell’ex cinema Corso(l’azione per essere attivata non ha bisogno di alcuna approvazione regionale come si voleva far credere)

2 – il cambio, per discontinuità almeno parziale col passato (vista la continuità inossidabile assicurata da Gasparini e Rossi di Schio), dei professionisti da tempo al “capezzale” della Roi e sempre di era Zonin, cioè, a prescindere dalla loro professionalità, del commercialista Giovanni Sandrini e dell’avvocato Enrico Ambrosetti, se quest’ultimo non è stato già cambiato da Diamanti come promesso

3 – la compilazione di un inventario preciso da lasciti notarili dei beni mobiliari (quadri, avori, collezioni di monete…), che la Guardia di Finanza ritiene credibile siano statiin parte trafugati o asportati a prezzi di favore da parte di membri del cda della Banca Popolare di Vicenza

4 – infine, atto non meno importante degli altri, la “desecretazione” dei bilanci e degli atti amministrativi dell’epoca successiva alla morte del marchese, cioè dal 2009 alle dimissioni imposte di Zonin, un’operazione di trasparenza, cioè, che non si potrà più nascondere dietro l’essere la Fondazione una Onlus, caratteristica ora persa proprio a causa delle vecchie gestioni

Se non verranno compiuti questi passi il palazzo della Fondazione Roi non sarà altro che il castello di Donnafugata, caro al “Gattopardo” Principe Fabrizio di Salina perché tutto, o quasi, in Roi sarà cambiato perché nulla cambi. Scenografia a parte.