«Nel mio libro “Il grande inganno. Controstoria della Seconda Repubblica“ (Lindau editore, 2022) mi riferisco a un inganno rivolto al Paese, un racconto del passato che è stato manipolato da coloro che sono stati sconfitti dalla storia e hanno propagato bugie»: questo è il succo di quanto detto da Paolo Cirino Pomicino ieri, 14 ottobre, a Palazzo Roberti a Bassano, nell’omonima libreria, con tre sale ultra gremite per “riascoltare” con grande attenzione e partecipazione la narrazione della politica di un tempo che fu grazie all’organizzazione e al traino di Luigi D’Agrò, il sempre attivo già parlamentare e ancora grande saggio bassanese (nella foto alla sinistra dell’autore, ndr).
Tutto questo è avvenuto, con successo, nonostante l’assenza di domande un pizzico stimolanti da parte di chi, il direttore del foglio confindustriale di Vicenza, sempre più appiattito sul servile e vuoto provincialismo di quello che dovrebbe essere il capoluogo della provincia, tra l’altro e non a caso non riconosciuto proprio a Bassano, dove quelle pagine planano per un atimo e volano via come foglie al vento, avrebbe dovuto dialogare con l’ex ministro e non solo della Prima Repubblica.
Ma forse proprio grazie a quell’assenza, neanche apparentemente riempita da domande fatte da un soggetto, un predicato e un complemento da chi sembrava di non aver neanche letto la presentazione de “Il grande inganno. Controstoria della Seconda Repubblica”, neanche fosse un Sangiuliano, ministro della… Terza Repubblica, che, però, almeno al Campiello l’ha detto, Paolo Cirino Pomicino ha potuto narrare e si è narrato al meglio.
L’esordio è stato un (astuto) omaggio, da attore navigato della “Prima Repubblica” ma anche da uomo democristianamente riconoscente, alla terra veneta in cui “si esibiva”: «In fondo sono anche io in parte veneto perché gli organi dei due trapianti (di cuore e rene, ndr) che ho subito sono stati frutto del dono consapevole e toccante di due veneti venuti a mancare a cui ancora oggi devo il prolungamento della mia vita…».
Ma andiamo a riavvolgere liberamente e sinteticamente il nastro di quanto detto a Palazzo Roberti su un libro che, lo ha precisato Paolo Cirino Pomicino, «ho scritto prima che salisse a palazzo Chigi Giorgia Meloni» (l’inizio della Terza Repubblica?; ndr).
«Uno degli inganni della Seconda Repubblica – ha chiosato sostanzialmente il Democristiano l’apparentemente vecchio ma che di punti ne dà, eccome!, ai giovani e attuali “politici” (absit iniuria verbis – sia detto senza offesa – per quelli, pochi, che lo sono ancora, ndr) – riguarda la necessità di cambiare il sistema elettorale proporzionale con quello maggioritario, che avrebbe dovuto portare a una maggiore stabilità politica. Tuttavia, nei primi dieci anni della Seconda Repubblica abbiamo avuto sette governi diversi con altrettanti cambi di maggioranza. Negli anni ’80, invece, ce ne sono stati solo quattro».
L’ex ministro del Bilancio, che non ha mancato di ricordare come avesse lasciato ai suoi tempi i conti non solo in ordine ma con grandi attivi, ora sommersi sotto un ciclopico debito pubblico, ha, poi sottolineato che oggi in Italia manca un partito con una chiara cultura di riferimento, mentre in tutti gli Stati dell’Unione europea, i governi appartengono a famiglie politiche ben definite. Riguardo all’inganno, Pomicino afferma che ha portato all’impoverimento del Paese, poiché l’Italia cresce solo dello 0,8% ogni anno da 28 anni, mettendola tra gli ultimi paesi dell’UE per tasso di crescita.
Pomicino critica il capitalismo finanziario, che ritiene essere la causa delle diseguaglianze a livello internazionale e nazionale. Sostiene che la finanza dovrebbe essere al servizio della produzione di beni e servizi, ma è diventata un’industria separata che danneggia l’economia reale.
L’ex ministro esamina anche l’insufficienza delle risorse destinate al sistema sanitario, che contribuisce ai “viaggi della speranza” e alla situazione drammatica. Conclude affermando che non esistono le premesse per una Terza Repubblica in Italia (e Giorgia Meloni di quale, ignota, Repubblica farebbe parte?, ndr) e che il Paese è ancora nella Seconda Repubblica.
Secondo Pomicino, la competenza politica è essenziale per risolvere i problemi del Paese, e questa competenza si sviluppa attraverso l’esperienza politica in istituzioni come il Consiglio Comunale, la Camera dei Deputati e il Ministero. Le competenze settoriali, come quelle mediche o ingegneristiche, non sono sufficienti.
Ne “Il grande inganno. Controstoria della Seconda Repubblica” Paolo Cirino Pomicino attribuisce, quindi, una parte delle colpe all’ambito finanziario e all’influenza della finanza sulla politica e, come non concordare con lui, sui media. Tuttavia, viene sottolineato che la finanza non può essere colpevolizzata per tutti i mali dell’Italia e che le dinamiche finanziarie sono cambiate nel tempo.
Il libro discute anche Giulio Andreotti, il quale è difeso dall’autore, nonostante le critiche ricevute. Pomicino sostiene che la mafia si sia vendicata del legislatore che l’aveva colpita.
Il Politico di lingo corso offre, quindi, una visione critica della politica estera dell’Italia, analizzando le questioni legate alla finanza, alle privatizzazioni e al conflitto tra stampa e Repubblica.
Viene posta un’attenzione particolare al sistema elettorale, soprattutto al sistema maggioritario, e si argomenta che non abbia portato ai risultati sperati, ma piuttosto all’instabilità politica.
Il libro si chiude con una riflessione sull’importanza della politica e sul ruolo della Democrazia Cristiana nella storia italiana.
In generale, il libro offre una visione critica e provocatoria degli eventi e delle dinamiche politiche in Italia. Pomicino sottolinea l’importanza di non credere ciecamente al mainstream e incoraggia una riflessione più profonda sulla politica e sulla società italiana contemporanea. Il suo stile di scrittura è coinvolgente e offre molte suggestioni e spunti di riflessione.
Alla fine del suo intervento e del commento “da Prima e viva Repubblica” di Luigi D’agrò siamo dovuti uscire dalla sala per impellenti precednti impegni per cui ci siamo persi, ahinoi, le domande dei presenti, una marea, di certo più interessanti di quello del dialogo col moderartore, che non ha lasciato traccia di sé.
Come foglie volate via.