“Sono stato informato che ho le mani legate”. Così Joe Biden mentre risponde alle domande dei giornalisti sulla sua retromarcia per una piccola aggiunta di costruzione del muro al confine col Messico. L’attuale inquilino alla Casa Bianca ha spiegato che i 32 chilometri programmati di muro al confine non saranno efficaci per fermare gli ingressi. Ciononostante, i fondi erano stati stanziati dal governo precedente e Biden, senza convincere quasi nessuno, ha elaborato che non aveva scelta.
Nella campagna elettorale del 2020 Biden si era allontanato da Trump promettendo di non costruire nemmeno un centimetro di muro al confine. L’allora candidato Biden si voleva distinguere dall’aspra politica del suo avversario che era stata caratterizzata dal bando agli ingressi da parecchi paesi musulmani e dalla separazione delle famiglie dei migranti fermati al confine. Queste politiche di Trump erano state criticate per la loro discriminazione e l’assoluta mancanza di umanità.
Gli ingressi sempre costanti dal confine col Messico e la retorica repubblicana “dell’invasione” dei migranti hanno spinto Biden a tentare alcune mosse che però hanno prodotto risultati insoddisfacenti. Il 46esimo presidente non è riuscito a soddisfare né i repubblicani, né i democratici di sinistra e nemmeno gli americani in generale. Negli ultimi 3 anni, 6 milioni di individui sono stati arrestati al confine col Messico. La maggioranza di loro sono stati poi rilasciati mentre aspettano le lentissime procedure giudiziarie che determinerebbero gli esiti delle loro richieste di asilo.
I repubblicani hanno condotto una costante e aspra campagna attaccando Biden per la sua incapacità di risolvere la situazione. Un recentissimo sondaggio della Marquette Law School ci informa che solo il 27 percento degli americani voterebbe per l’attuale presidente sulla questione dei migranti. La mano dura di Trump sembra prevalere. L’ex presidente sconfiggerebbe Biden con un margine del 23 percento.
Solo per segnare gol politici, il governatore del Texas Greg Abbott e Ron DeSantis della Florida, ambedue repubblicani, hanno inviato autobus pieni di migranti nelle città più grandi degli Stati Uniti che sono amministrate dai democratici. Si tratta di metropoli considerate “santuario” perché in teoria accettano volentieri i migranti. I numeri, però, sono stati eccessivi e adesso i sindaci hanno cominciato a ribellarsi. Il più appariscente è stato Eric Adams il quale ha dichiarato che i migranti potrebbero causare la fine di New York. La Grande Mela per legge municipale deve offrire alloggi a chiunque ne faccia richiesta e negli ultimi mesi la metà dei 100 mila senzatetto sono migranti.
Biden ha cercato di ridurre gli ingressi e di pacificare i sindaci. Nel caso di New York l’attuale presidente ha offerto un visto di residenza temporanea, Temporary Protective Status (TPS), Status Protettivo Temporaneo, ai migranti venezuelani. Questa mossa protegge i migranti dalla deportazione se la loro vita potrebbe essere messa in pericolo in caso di rimpatrio. Il periodo di permanenza temporanea può essere di 6, 12, o 18 mesi permettendo ai migranti di potere lavorare legalmente negli Usa. Questo visto sarebbe una boccata d’aria per New York poiché ridurrebbe notevolmente le spese per mantenerli. Allo stesso tempo aiuterebbe le aziende a corto di dipendenti, specialmente nel settore dei servizi come il turismo, l’edilizia ed altri lavori manuali. Con l’ottimo stato dell’economia che ha visto la creazione di più di 300 mila nuovi posti di lavoro il mese scorso l’America ha bisogno di manodopera. L’uso dei migranti, già, nel Paese fa piacere alle aziende.
La questione dell’immigrazione continua però a rimanere senza soluzioni. Ciò fa piacere ai repubblicani e alla destra in generale poiché produce frutti elettorali. Il fatto che Biden in quasi 3 anni di presidenza non abbia migliorato la situazione non dovrebbe però sorprendere. Negli ultimi tempi presidenti di ambedue i partiti sono stati assillati dall’immigrazione. Da George Bush figlio, a Obama e Trump, il Congresso non ha potuto trovare terreno comune per riformare le leggi sull’immigrazione. Il problema fondamentale, come ha dichiarato la vicepresidente Kamala Harris, si trova nella disfunzionalità di alcuni Paesi del Centro e Sudamerica che costringe la gente a intraprendere un lungo viaggio alla ricerca di un futuro. La soluzione si troverebbe solo risolvendo i problemi economici e politici in questi Paesi. Ci vorrebbe un nuovo Piano Marshall ma di questo non se ne parla specialmente con il governo diviso fra i due partiti e il caos alla Camera dove i repubblicani stentano persino a mettersi d’accordo per eleggere lo speaker.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.