Il museo della civiltà contadina a Grancona ora Val Liona, incastonato nel cuore dei Colli Berici da Carlo Etenli

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Grancona, l'entrata del Museo della Civiltà Contadina
Grancona, l'entrata del Museo della Civiltà Contadina

I Colli Berici, da qualunque parte vengano risaliti, offrono un panorama spettacolare di colline che, a sud dlla Vicenza del Palladio, si intersecano in trasversale. In particolare, quando si arriva a Grancona, ora frazione di Val Liona, da Brendola, ci si immerge in un paesaggio rurale di campi arati che trasmette serenità. Ed è proprio nei campi che lavoravano la maggior parte degli abitanti del Basso Vicentino, vissuti di agricoltura per la maggior parte della storia.

È stato così che Carlo Etenli, che è mancato il 10 settembre 2021, ex Sindaco di Grancona (era un Comune a sé fino al 2017, quando si è unito con il Comune di san Germano dei Berici, diventando Comune di val Liona), ha fondato il Museo della Civiltà Contadina, che custodisce una raccolta di pezzi storici che hanno fatto la storia dell’agricoltura locale.

Un’aula scolastica del 1950

Fra trattori, modelli di macchine agricole in miniatura, attrezzi per la filatura, la tessitura, la trebbiatura, oggetti d’epoca, ricostruzioni di stanze di casa e aule scolastiche da inizio Novecento agli anni ‘50 del Novecento il Museo racconta la storia di un territorio.

I modellini delle macchine agricole

Lo fa anche grazie a molti poster su cui sono “impresse” le consuetudini legate al ciclo della vita (la nascita, i giochi dei piccoli, i passatempi dei grandi, il fidanzamento, il matrimonio, la morte), le tradizioni del ciclo dell’anno (le attività agricole, l’influenza della luna, le previsioni del lunario, le festività del calendario liturgico, le ricorrenze dei Santi, i proverbi che scandivano l’andamento della stagione), le manifestazioni popolari (sagre, fiere, mercati) e la cultura orale (filastrocche, conte, cantilene, indovinelli, canti), frutto di una sapienza, di una saggezza più che millenaria.

Le giovani generazioni non riescono ad immaginare il duro lavoro e gli stenti dei loro nonni – affermava Carlo Etenli – non riescono nemmeno a capirli, perché è andato ormai perduto il contatto con la terra, la conoscenza dei lavori agricoli, il legame con le stagioni, il valore di ogni oggetto, che, una volta esaurita la sua funzione, non veniva gettato via, ma riadattato ad altri usi. Come hanno perduto la manualità dei loro padri quei giovani coltivatori di oggi che, abituati ad usare solo macchine e trattori moderni, non hanno conosciuto gli antichi attrezzi…”.

Un poster dell’attività contadina del Primo Novecento

Per conservare le testimonianze e i valori di questa civiltà Carlo Etenli decise così di salvare dal degrado e dalla distruzione gli oggetti dell’attività rurale, diffusissimi fino a qualche decennio fa.

Non ho accumulato e sistemato nel mio museo tutti questi oggetti solo per farli sfuggire al logorio del tempo – affermò – ma anche perché rimangano vivi, con cura e amore, per le future generazioni e perché nulla di quanto ha segnato la vita e la storia dei nostri padri debba essere dimenticato dai figli. Lo scopo è di mostrare tutto questo ai giovani perché conoscano il loro passato e siano così in grado di capire meglio il loro tempo. Chi non conosce il passato, difficilmente riuscirà a capire il presente e a progettare il futuro“.

Una macchina agricola per la raccolta del mais

All’interno del museo di Grancona Val Liona sono presenti anche numerosi messaggi del fondatore. Colpisce una lavagna che si rivolge ai giovani d’oggi con il seguente messaggio: “Entrate in questo museo e dimenticate per un attimo il mondo d’oggi: tv, cellulare, cinema, discoteca, auto… Guardate questi attrezzi che testimoniano la povertà, la miseria, l’emigrazione, i sacrifici, le umiliazioni, le sofferenze, dei nostri padri e delle nostre madri. Cercate di noi dimenticare tutto questo e soprattutto il loro desiderio di creare per noi un mondo migliore”. Attualmente il Museo è gestito con molta cura dai nipoti di Carlo.

Una camera da letto del Primo Novecento