Respinto dal TAR del Veneto il ricorso presentato dai proprietari del locale
Il parcheggio del ristorante-pizzeria “Acquapazza” di via Madonna a Lonigo è ad uso pubblico e non è esclusivamente riservato ai clienti del locale. Lo stabilisce un’ordinanza della Seconda Sezione del TAR del Veneto, che ha respinto il ricorso presentato dai proprietari del pubblico esercizio Renata Scalzotto, Giampaolo Canevarollo, Mirko Canevarollo e Andrea Canevarollo per l’annullamento del provvedimento di diffida emesso il 14 marzo scorso dal Settore comunale Governo del Territorio che impone ai medesimi il ripristino ed integrale uso delle aree destinate e vincolate a parcheggio pubblico, mantenendolo costantemente libero da beni o materiali in deposito e rimuovendo il cartello che ne riserva l’utilizzazione ai soli clienti del locale.
Le aree al centro della questione sono stalli a parcheggio di proprietà privata, ma vincolati ad uso pubblico dagli stessi ricorrenti, come attestato nell’atto notarile unilaterale del 13 gennaio 2016, quale condizione indispensabile per il rilascio del titolo autorizzativo con permesso di costruire, risalente al 9 marzo 2006, per la ristrutturazione ed ampliamento dell’attività commerciale del ristorante-pizzeria.
In successivi sopralluoghi sul posto effettuati dal Comando di Polizia Locale è emerso che alcuni di questi stalli erano occupati saltuariamente da materiale che impediva l’effettiva sosta degli automezzi. Da qui l’atto di diffida del competente ufficio comunale contro il quale i proprietari dell’“Acquapazza” hanno presentato ricorso al TAR per annullamento.
Secondo il Tribunale Amministrativo Regionale il provvedimento impugnato dai privati “ha natura ed effetti di mera diffida” e soltanto dalla sua inosservanza “potrà discendere, in ipotesi, un ordine di ripristino sanzionato di esecuzione d’ufficio”.
L’ordinanza del TAR conferma che il parcheggio “è e resta ad uso pubblico generale nonostante la prevista limitazione oraria” e che la sua validità temporale “non può essere unilateralmente circoscritta alla clientela dell’esercizio, in violazione di una precisa condizione di legittimità del permesso di costruire”. I giudici amministrativi hanno pertanto ritenuto “che il ricorso non presenta apprezzabili probabilità di accoglimento in merito”.
Per questo motivo il ricorso è stato respinto, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese della fase cautelare, pari a 2000 euro, a favore del Comune.