Uno spettro s’aggira per l’Europa, stavolta quello di Julian Assange. Un po’ come ai tempi del buon vecchio Marx – quando da esule tedesco l’economista scriveva a Londra Il Manifesto dei Comunisti e Il Capitale – è il vento che soffia dal Regno Unito a portare scompiglio sul continente.
Il caso dell’arresto del fondatore di Wikileaks nella Capitale britannica sembra infatti calzare come un guanto sull’attività legislativa dell’Unione europea. Ieri l’Europarlamento si è riunito nella città alsaziana per l’ultima volta in 5 anni prima dell’appuntamento elettorale di maggio, licenziando dopo circa un anno dall’iniziale proposta della Commissione la direttiva per la protezione degli informatori (whistleblower in inglese). Il provvedimento è stato approvato a maggioranza larghissima e trasversale: 591 favorevoli, 23 i contrari (tra cui gli il Fratelli d’Italia Maullu nel gruppo Ecr e il forzista Martusciello nel Ppe ) e 33 gli astenuti.
“Si tratta di un segnale positivo che arriva dall’Ue”, commenta l’europarlamentare M5S Laura Ferrara. “Importante l’aver garantito, come chiedevamo anche noi con un emendamento, sia canali esterni che interni. Con quelli esterni si evitano insabbiamenti di notizie o che possano arrivare a persone interne sbagliate”. Proprio il canale esterno ha rappresentato uno dei temi controversi in sede di Consiglio Ue, dove l’Austria e la Germania, avevano espresso dubbi.
“È un passo fondamentale e segna una vittoria importante, anche per l’Intergruppo su Integrità, Trasparenza, Anti-Corruzione e Antimafia che ho avuto l’onore di presiedere”, aggiunge l’eurodeputata Elly Schlein (Possibile–S&D). Schlein sottolinea di aver chiesto dall’inizio del mandato una direttiva che fissasse standard minimi di tutela dei whistleblower in tutti i Paesi europei.
“È assurdo che ad oggi solo 8 Stati su 28 (tra cui l’Italia) abbiano una normativa a loro tutela, tra l’altro non sempre completa”.
Solo grazie ai whistleblowers sono emersi scandali del calibro di LuxLeaks o Panama Papers, che hanno coinvolto imprenditori e politici, come lo stesso attuale presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker nella sua veste di ex primo ministro del Lussemburgo.
Nulla, però, sarebbe stato possibile senza Wikileaks. Infatti il suo fondatore, Julian Assange, è il convitato di pietra dell’aula di Strasburgo. Il dibattito sull’arresto dopo 7 anni trascorsi nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, è stato richiesto da sinistra radicale (Gue) e Verdi e si è tenuto in aula, anche se nella notte e separatamente dal voto sulla direttiva di protezione degli informatori.
Durante la conferenza stampa seguita all’approvazione, la relatrice del provvedimento, la socialista francese Viriginie Rozière, chiarisce che – come è ovvio – la norma non può avere ha effetto retroattivo. Ma ammette che il rischio estradizione verso gli Usa è presente e che, nello spirito di questa norma, “Assange dovrebbe essere protetto, solo che non può farlo l’Ue in quanto tale”. Ci vorrebbe, conclude, l’azione di un Paese europeo. Magari sostenuto da tutti gli altri.
di Andrea Valdambrini da Strasburgo per Il Fatto Quotidiano