(Articolo da VicenzaPiù Viva n. 5, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Il ritrovamento de “Il Cavaliere” del 1929.
Capita ancora di girovagare per i mercatini dell’usato e fare un incontro che ti riempie
di gioia. Non succede spesso, malauguratamente, ma forse è proprio questa fortuna sporadica ad essere quella che maggiormente allieta.
Fortuna, e un poco di naso, mi hanno così fatto trovare un bel quadro, anche più che bello, di Luigi Brunello del 1929, cioè del periodo nel quale era ancora significativa in lui l’influenza del grande pittore Ettore Tito, di cui fu, per un periodo assistente. Ma, come scrive l’ormai scomparso ma noto editore e scrittore vicentino Giuseppe Mazzariol nel libretto che, insieme a Diego Valeri, gli amici dedicarono al Brunello dopo la sua morte, con grande fatica si liberò di quella pittura per “ritrovare colori puliti, segni immediati, tagli imprevedibili”, cioè rivendicare la sua inadattabilità al conforme.
Ma un quadro non basta, bisogna conoscere l’artista. Il doveroso approfondimento ha così ulteriormente allietato la scoperta.
Nato a Vicenza nel 1883, finiti gli studi liceali abbandona la famiglia per studiare all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove, come detto, è allievo di Ettore Tito. Per vivere fa dallo scaricatore di porto al disegnatore dei figurini di moda.
Prende parte ad alcune edizioni della Biennale ma la Prima guerra mondiale lo rivendica al fronte. Congedato si stabilisce a Padova, si sposa e ha un figlio partigiano e lui stesso attivo a Roma contro il fascismo, rimanendo vedovo della prima moglie, un’ebrea morta in un campo di concentramento.
Diventa amico di Ubaldo Oppi insieme al quale affresca alcune chiese a Vicenza e Padova, tra le quali la Basilica del Santo e la chiesa arcipretale di Bolzano Vicentino.
Diventa insegnante all’Istituto d’Arte Pietro Selvatico ma ne viene allontanato perché rifiuta di iscriversi al partito fascista.
Lavora al Caffè Pedrocchi, dove restaura le antiche carte geografiche. Contrae un nuovo matrimonio con una donna di che muore in campo di sterminio perché colpevole di essere ebrea.
Il figlio entra nelle file della Resistenza e lui, in bicicletta, riesce a fuggire a Roma superando la linea gotica ad Ancona. A Roma partecipa attivamente alla lotta contro i fascisti e al termine della guerra riesce ad ottenere dalla amministrazione comunale un locale all’Uccelliera di Villa Borghese che sarà il suo studio sino alla morte avvenuta nel 1976. Durante gli anni romani troverà il tempo di sposarsi una terza volta e di partecipare ancora ad alcune edizioni della Biennale e della Quadriennale
Sue opere sono esposte alla Pinacoteca Civica di Palazzo Chiericati e i suoi disegni sono inseriti nel patrimonio artistico del Quirinale.
Per spiegare il carattere dell’artista Diego Valeri è ricorso a comune sentire locale relativo ai vicentini. “A Vicenza,” scrive Valeri “città cittadina per eccellenza, voglio dire costruita a perfetta regola d’arte (e, con in più il lampo di genio), c’è sempre stata, paradossalmente, abbondanza di spiriti bizzarri, cioè di personaggi irregolari. Questa è un’opinione che ha corso ab antiquo in tutta la regione veneta, e gli stessi vicentini confermano e non senza un poco di civetteria.”
Agli artisti la bizzarria viene sempre perdonata in cambio della bellezza che, chi più chi meno, riescono a regalarci. Più facile è poi perdonarli se hanno scelto di stare dalla parte giusta.