Antonino Cappelleri, procuratore capo di Vicenza, e le sue dichiarazioni alle Mamme No Pfas su indagini Miteni: non ho parlato di dettagli investigativi e non è stata presentata alcuna istanza di sequestro di Miteni

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«Il procuratore capo di Vicenza Cappelleri ha incontrato le Mamme No Pfas il 18 aprile. Affermazione da chiarire se vera: “ha detto che Miteni inquinava sapendo di inquinare”»: abbiamo titolato così stamattina  riferendo della nota della, giustamente, combattiva associazione di mamme: di fronte alle minacce alla  salute dei propri figli, quasi, tutto è comprensibile. La premessa alla pubblicazione della nota è stata la centro dell’incontro che il procuratore stamattina ci ha prontamente concesso.

Questo è avvenuto, con apprezzabile cortesia, dopo avergli consegnato il testo completo nell’ascensore del settore B del tribunale, dove lo abbiamo incrociato casualmente e dove eravamo andati per consegnare al piano del Presidente del Tribunale i documenti del nostro ritorno alla direzione di VicenzaPiu.com (ne scriveremo a breve) ma anche per chiedergli un’intervista (al quarto piano della Procura) sui virgoletatti della nota della Mamme No Pfas.

La premessa era questa: «Pubblichiamo, come sempre, la nota sull’incontro di ieri tra il procuratore capo di Vicenza Antonino Cappelleri e le Mamme No Pfas con la (se vera) grave affermazione che il procuratore avrebbe loro rivelato, a indagini in corso, che “se Miteni ha scelto l’Italia, è perché conosceva la debolezza interna del sistema; le sostanze inquinanti, che oramai in modo certo Miteni ha scaricato, all’epoca non erano previste tra quelle espressamente vietate dalle leggi antinquinamento. Il Procuratore aggiunge che “per l’accusa Miteni sapeva di inquinare”. Frase che, anche perché contraddittoria nei suoi passaggi di accusa data per verificata, sarebbe opportuno che confermasse, smentisse o chiarisse Cappelleri stesso».

Ecco il nostro dialogo nel suo uffico, lo stesso in cui ci accolse quando lo intervistammo sulle indagini sul crac annunciato della Banca Popolare di Vicenza e, di “passaggio”, sui fattacci della Fondazione Roi (la foto è un frame di quella intervista video). Lo riportiamo sinteticamente ma il più possibile fedelmente, senza limitarci a raccontarlo, vista la delicatezza dell’argomento.

Giovanni Coviello. La prima domanda è se conferma la frase in cui avrebbe affermato che Miteni aveva scelto l’Italia per la vantaggiosa legge esistente in termini di sostanze definite come inquinanti e che l’azienda inquinava sapendo di inquinare…

Antonino Cappelleri. Confermo di aver detto questo e non ci vedo alcun problema nè tanto più reputo “grave” la mia affermazione perchè di certo, nè in quella nè nelle altre frasi da me pronunciate, non rivelo alcun dettaglio investigativo ma riferisco delle ipotesi di accusa della Procura

G.C. Ne prendo atto, ovviamente, e non ho motivo di dubitare. Ma, precisato che per affermazione “grave” è da intendere anche il contenuto dell’accusa, su cui, magari, comitati e media si concentreranno amplificandoli mediaticamente, come si concilia la tesi della Procura che Miteni avrebbe inquinato sapendo di farlo se lei stesso, nella frase che mi ha appena confermato, precisa che «le sostanze inquinanti, che oramai in modo certo Miteni ha scaricato, all’epoca non erano previste tra quelle espressamente vietate dalle leggi antinquinamento»?

A.C. Lei sa che qualunque prodotto chimico introdotto nell’ambiente è di per se stesso inquinante per cui la tesi d’accusa, che andrà supportata dalle attività di polizia giudiziaria e dagli esperti di livello internazionale di cui ci avvaliamo, vista anche l’insufficienza ad oggi di un’adeguata letteratura al riguardo, è che, pur se i limiti di legge non sono stati superati, i prodotti immessi dalla Miteni abbiamo arrecato danni alle persone. Tutto questo implica un notevole lavoro investigativo, come si legge nella nota e da me confermato, «per l’accertamento delle responsabilità penali» per individuare le quali bisognerà «chiarire se e quanto queste sostanze rappresentino un reale rischio per la salute umana».

G.C. Chiaro. Ma se Miteni ha scelto Trissino per i particolari “vantaggi” offerti dalle carenze legislative dell’epoca e se avrebbe inquinato sapendo di inquinare, sono in corso indagini analoghe e con gli stessi presupposti investigativi dell’accusa sulla RiMar (Ricerche Marzotto) e sulla Enichem che nello stesso luogio  prima della Miteni producevano e immettevano, presumibilmente, nel suolo sottostante sostanze inquinati analoghe, se non peggiori visto che se all’arrivo della Miteni le norme erano carenti c’è da pensare che prima lo fossero ugualmente se non di più?

A. C. La procure per procedere ha bisogno di una «notizia di reato» che nel caso Miteni ha avuto mentre non ne ha avuto per altre possibili situazioni. Tra l’altro gli eventuali reati ipotizzabili per gli altri produttori sarebbero ad oggi già prescritti per cui, anche in caso di averne notizia, non sarebbero indagabili.

G.C. Anche questo ora è più chiaro e mi rendo conto della complessità delle indagini visto anche che, se i dati Arpav parlano ora di un’incidenza dell’1% dei reflui Pfas all’uscita del collettore Arica, le sostanze inquinati sotto l’attuale impianto produttivo potrebbero essere dovute anche a Rima e/o Enichem, che non ne sarebbero più responsabili.

A.C. Una cosa voglio, però, precisare come non vero nella nota della Mamme No Pfas: nessuna «istanza di sequestro immediato di Miteni e di tutto il sito» ci è stata presentata perchè per questo occorrerebbe un atto ufficiale mentre chi ha esteso quella nota ha, evidentemente ma erroneamente, pensato che aver espresso a voce quella richiesta equivalesse, cosa che non è, ad aver presentatouna istanza giuridicamente valida.

Il resto del lungo, cortese incontro col procuratore capo Cappelleri, che anche accennato alla vicinanza della data del suo pensionamento, ci è stato utile per approfondier la sua conoscenza coem uomo di legge e per inquadrare altre situazioni non attinenti al caso Pfas-Miteni. Ma questo è un altro discorso.