Il querelante non pone domande, colpo di scena nella seconda udienza a Palermo contro Angelo Di Natale: il collega già nel Vicentino e ora collaboratore di VicenzaPiù accusò la Rai e Morgante di “pubblicità occulta

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Nell’udienza dinanzi alla quinta sezione penale del Tribunale di Palermo in cui è imputato di calunnia nei confronti dell’attuale direttore della Tgr Vincenzo Morgante, all’epoca solo caporedattore di Tgr Sicilia, ha confermato ogni sua denuncia – rilanciando con ulteriori elementi di accusa – sulla gestione di Tgr Sicilia, e per molti aspetti anche dell’operato dei vertici Rai, il giornalista Angelo Di Natale, molto noto nel Vicentino già nei primi anni duemila e di recente ingaggiato nella nostra squadra soprattutto per le questioni processuali di BPVi e Veneto Banca. L’udienza, la seconda dedicata al suo esame e durata complessivamente circa sei ore, è iniziata con un colpo di scena.
La parte civile ha rinunciato a porre domande all’imputato, nonostante nell’udienza precedente del 29 settembre scorso, dopo che il giornalista aveva risposto alle domande dell’avvocato che l’assiste, Andrea Ruggiero del foro di Roma (nella foto in vasso a dx Andrea Ruggiero il legale di Di Natale che sta testimoniando, ndr), l’udienza era stata sospesa e aggiornata alla successiva proprio per consentire alla controparte, quindi al difensore di Morgante, di interrogarlo. In quel momento il suo legale, l’avvocato Fabrizio Biondo, del foro di Palermo, aveva fatto presente di avere circa venti domande da porre. Il giudice Salvatore Flaccovio dovette quindi puntare sulla prosecuzione dell’esame di Di Natale in un’udienza successiva.
Nessuna domanda anche da parte del pubblico ministero che in udienza sostiene l’accusa nei confronti di Di Natale, ma questo silenzio trova una spiegazione nell’anomalia surreale di questo processo in cui l’imputato formale è il vero accusatore, mentre l’accusato reale, Morgante, formalmente parte offesa e parte civile, si trova sempre più nella condizione di dovere spiegare molte cose. Sulle mancate domande all’imputato la vera sorpresa però è venuta dalla parte civile.
La sua scelta di rinunciare a porre domande a Di Natale – imputato di calunnia nell’ipotesi che abbia detto il falso nel suo esposto del 2011 ma, di fatto, anche in questo processo, grande accusatore di Morgante e dei vertici Rai – ha spiazzato tutti in aula alimentando tra gli addetti ai lavori, durante la pausa che ne è seguita, questo ragionamento: “In genere è l’imputato che si avvale della facoltà di non rispondere; questa volta dinanzi ad un imputato loquacissimo e pronto a rispondere a ogni domanda, è stata la parte civile, ovvero quella che tutela gli interessi del querelante, l’ex caporedattore Morgante, a scegliere il silenzio“.
Silenzio che il difensore di Morgante avrebbe voluto anche rispetto ad altre domande della difesa, visto che l’avv. Ruggiero, per dare spazio alle annunciate venti domande della parte civile, aveva rinunciato a porne altre di proprie, potendo comunque contare sul riesame e controesame finale. A quel punto, secondo l’avv. Biondo, l’esame di Di Natale era tecnicamente concluso, né avrebbe potuto aver luogo un “controesame”, considerato il silenzio della parte civile, sicchè, rispetto a questa schermaglia procedurale tra parte civile e difesa, il giudice Flaccovio ha sospeso l’udienza per dirimere la questione con ordinanza. Rientrato in aula ha consentito il proseguimento dell’esame dell’imputato da parte della difesa e una successiva dichiarazione spontanea dello stesso Di Natale.
Ne sono seguite tre ore di intervento in aula del giornalista, con la conferma puntuale di ogni affermazione contenuta nell’esposto del 2011, il rilancio di tutte le accuse, supportate – ha precisato più volte – da “incontestabile produzione documentale” e la denuncia di falsità calunniose che, secondo Di Natale, nel corso del dibattimento avrebbero dichiarato Morgante e alcuni testi di parte civile.
Nei confronti del direttore della Tgr le accuse di Di Natale, illustrate in nuovi documenti mostrati in udienza e di cui ha annunciato il deposito, riguardano anche numerosi brani della querela presentata da Morgante a luglio 2011 – e da cui ha avuto origine il processo – e sue successive dichiarazioni spontanee rese al pubblico ministero il 19 marzo 2013 nella sua veste di indagato nell’ambito dei procedimenti scaturiti dall’esposto di Di Natale e successivamente archiviati anche se a in proposito di recente, su istanza dello stesso Di Natale, è stata aperta una nuova indagine nella quale Morgante risulta indagato.
In oltre tre ore di ricostruzione serrata dei vari momenti della vicenda, Di Natale ha riferito decine e decine di episodi, fatti, documenti dai quali, in forma più estesa e a suo avviso anche più grave rispetto al contesto rappresentato nell’esposto del 2011, il giornalista ha messo “sul banco degli imputati” Morgante, la sua gestione di Tgr Sicilia, ma anche la copertura a lui prestata dai vertici Rai attraverso manipolazioni, falsificazione di dati documentali e di fatto, omissioni istruttorie nel corso dell’Auditing e nelle varie fasi della vicenda poi sfociata nel licenziamento del giornalista.
In proposito Di Natale ha indicato l’allora direttore della Tgr Alberto Maccari, l’allora capo dell’Auditing Marco Zuppi, i due ispettori incaricati Fabrizio Pinto e Massimo Carcani De Scandi, l’allora capo della Direzione Risorse umane Luciano Flussi come persone da ascoltare e di cui andrebbe vagliato l’operato nelle varie fasi della vicenda.
Lo scenario che ne è derivato è un j’accuse durissimo nei confronti dell’intera gestione di Tgr Sicilia da ottobre 2003, quando Morgante si insedia a capo della redazione, a ottobre 2013 quando lascia la carica, perché promosso a direttore – ruolo che riveste tuttora – dell’intera Tgr da cui dipendono tutte le sedi regionali della Rai.
Ci siamo già occupati di questo caso non solo per l’esperienza vicentina del giornalista che negli anni 2003-2004 ha realizzato importanti inchieste nel Veneto di forte impatto sulla realtà civile e sociale nel territorio, ma anche per l’importanza dei temi oggetto del processo e, in particolare, della diffusione del fenomeno della pubblicità occulta e quindi delle risposte che, anche su un piano generale, dovrà dare il procedimento: quali sono i confini tra informazione e pubblicità, fino a che punto al lettore, ascoltatore o telespettatore si possa negare trasparenza; quali sono i doveri del giornalismo e, soprattutto, del Servizio pubblico che ai cittadini costa due miliardi di euro l’anno. In proposito Di Natale ha riaffermato la veridicità delle sue segnalazioni sulle tante refluenze di interessi privati, ruotanti intorno alla cerchia di relazioni di Morgante, nel prodotto informativo di Tgr Sicilia. Ha descritto una sorta di “parentopoli” citando in proposito una lunga serie di servizi trasmessi da Rai Sicilia ed ha allargato il campo a quelli a suo dire comportanti pubblicità occulta, “anzi – ha precisato – pubblicità tout court, palese, ma indebita, abusiva, illegale perché contenuta nel telegiornale con servizi privi di ogni notizia o motivazione giornalistica“.
Tra i tanti esempi forniti dal giornalista di questo “asservimento del prodotto editoriale della Rai agli interessi privati di Morgante” il trattamento di favore riservato in quegli anni a Massimo Ciancimino, “presentato al pubblico come paladino antimafia, nonostante fossero già ben noti i suoi reali interessi criminosi e il suo doppiogioco“, ad Antonello Montante, altro paladino antimafia ma da due anni coinvolto in due procedimenti in concorso esterno in associazione mafiosa. Peraltro a questa figura – ha ricordato Di Natale – Morgante ha dedicato una “prolusione agiografica” quando, nella sua veste di caporedattore di Tgr Sicilia, – “svendendo la sua funzione e ponendola al servizio di interessi privati” ha detto Di Natale – ha moderato, al Cibus di Parma, una conferenza sul panettone al radicchio rosso dell’azienda Fiasconaro, la stessa alla quale Tgr Sicilia, sotto la sua gestione, ha dedicato 24 servizi, spacciati per informazione, all’interno dei telegiornali.
Morgante peraltro nega di avere moderato questa conferenza ed anzi su questa circostanza ha fondato, tra le altre, la sua querela per calunnia. Ma sul punto Di Natale ha confermato la notizia producendo una documentazione che la proverebbe e ponendo Morgante nella condizione di dovere egli rispondere di calunnia. Condizione che in effetti, dopo le dichiarazioni in aula di Di Natale, risulta estesa a numerose altre circostanze nelle quali il direttore della Tgr avrebbe mentito, dichiarando il falso fin dalla querela presentata per accusare falsamente di calunnia il giornalista.
Nette e chiare le accuse rilanciate dall’imputato dinanzi al giudice Salvatore Flaccovio, al pubblico ministero e alla parte civile, ovvero Morgante che si trova nella singolare posizione di rappresentare tecnicamente la parte offesa in questo processo ma anche una sorta di “imputato di pietra”, di accusato extra processuale per via della gravità dei fatti che riconducono, almeno secondo quanto ribadito anche in dibattimento da Di Natale, alla sua possibile responsabilità.
Parole durissime da parte dell’imputato anche verso il tentativo operato dalla Rai di coprire questo gravissimo asservimento dei superiori interessi generali propri del Servizio pubblico a quelli particolari e privati di qualcuno attraverso il travisamento di dati documentali e il ribaltamento della realtà.
In proposito Di Natale ha fornito altri dettagli sul “falso Auditing esperito dalla Rai per negare l’evidenza, manipolare gli elementi istruttori e pervenire all’esito assolutorio nei confronti di Morgante”.
In risposta ad alcune domande, Di Natale ha poi fissato paletti rigidissimi di distinzione tra un certo malcostume, diffuso in settori dell’editoria privata, di opacità della linea di separazione tra informazione e pubblicità (di cui è vittima la lealtà che si deve ai lettori) e la ben maggiore gravità di tali pratiche nell’Azienda concessionaria del Servizio pubblico.
Ma sul tema di quello che Di Natale ha definito “pesante inquinamento del prodotto informativo” gli esempi e i casi trattati sono stati molteplici. E hanno fatto un certo effetto i riferimenti documentali al conflitto di interessi di Morgante che “insegnava nella Facoltà teologica di Sicilia, ma asserviva l’informazione ai suoi interessi di contiguità con certe gerarchie ecclesiastiche, al punto da impedire o limitare fortemente il corretto adempimento da parte della redazione dei doveri di cronaca e d’informazione in relazione ai casi, tra i tanti, di un sacerdote accusato di pedofilia (poi condannato) o del vescovo indagato nell’ambito dell’ammanco di un milione di euro nelle casse della curia, ecc…”.