Se, come abbiamo visto nel primo articolo, a Ovest del Centro Storico c’è un bel mostro come la desolata Rocchetta abbandonata alla rovina, sul lato Est non va meglio. Perché, giusto al limite orientale, troviamo un’altra bruttura, un altro rudere che deturpa una delle piazze più belle della città: l’ex Macello comunale.
Sorge al limite Nord di viale Giuriolo, la strada “mesopotamica” (come l’ha definita Giambattista Giarolli nel suo “Vicenza nella sua toponomastica stradale”) fra Bacchiglione e Retrone, sulla rotta verso settentrione delle vecchie mura. Introduce alla Piazza dell’Isola, ribattezzata Giacomo Matteotti, episodio urbano affascinante non ostante il Comune non la voglia liberare dal parcheggio scoperto che ne occupa oscenamente la porzione Sud.
Il rudere non si può abbattere perché c’è un vincolo della Sovrintendenza. Quel poco che rimane del progetto palla-diano ha impedito che fosse raso al suolo. Per fortuna, vien da dire… chissà che dissonante vetrocemento ne avrebbe preso il posto.
La storia dell’edificio la racconta Giorgio Ceraso nel suo libro “Vicenza 1711. La pianta di Giandomenico dall’Acqua” (Associazione gli amici dei Monumenti, dei Musei e del Paesaggio 2015). Le origini sono nobili, sia nel senso del proprietario, il conte Coriolano Piovene, che in quello del progettista: sempre lui, Andrea Palladio. Il secolo è quello, il Cinquecento, l’unico e ultimo dello splendore vicentino.
La costruzione dell’edificio inizia nel 1558 e si conclude diciassette anni dopo, nel 1575. Un rimaneggiamento è apportato nei primi decenni del secolo successivo e questa è la versione, che è anche l’unica esistente, raffigurata nella pianta di Vicenza di Giandomenico dall’Acqua del 1711. La facciata è raffigurata nella fascia alla destra della pianta, contraddistinta dal numero 134: un prospetto molto articolato grazie ad una serie di alte colonne che lo percorrono dalla base al tetto segmentando lo spazio orizzontale in cui sono inserite altrettante finestre.
L’edificio non esiste più in quella forma perché, nel corso del Settecento, va progressivamente decadendo e il colpo di grazia lo riceve da Napoleone, o meglio dalla Divisione Massena del corpo di spedizione in Italia, che nel 1797 lo requisisce ai Piovene e lo trasforma in forno per la panificazione e, attenzione, in beccheria ovverosia in macello.
Questa data segna il futuro destino del palazzo e la sua riconversione definitiva per oltre un secolo e mezzo. Quando i francesi se ne vanno, i Piovene rientrano in possesso dell’edificio e lo trovano ancor più devastato dopo il passaggio delle truppe. Indecisi se lasciarlo alla rovina definitiva o ripristinarlo, scelgono una terza via: chiedono al Comune un risarcimento. Il pubblico, come si direbbe oggi, fa orecchie da mercante e ai Piovene non resta che vendere il rudere a un privato che, appunto, lo trasforma definitivamente in un macello. Nel 1891 l’edificio è restaurato dall’architetto Carlo Morseletto e diventa di proprietà del Comune, che mantiene la destinazione d’uso. Il civico mattatoio rimane lì fino agli anni Sessanta del secolo scorso, quando emigra verso la periferia della città.
Sono passati sei decenni da quando il macello comunale di viale Giuriolo è stato dismesso e ancora non si sa cosa farne. Dopo un periodo in cui era diventato garage, è stato abbandonato e l’abbandono ha portato la rovina. Oggi ne esistono solo le mura perimetrali, il tetto è crollato travolgendo tutto all’interno, imperano sporcizia e vegetazione. A due passi da Palazzo Chiericati, il più bell’edificio privato firmato da Palladio in città e sede del Museo Civico. A quattro passi dal Teatro Olimpico, una delle grandi bellezze di Vicenza. Giusto sulla soglia dell’Isola, che doveva essere meravigliosa quando, da Palazzo Chiericati, i prati si estendevano fino alla riva del Bacchiglione.
L’ex Macello comunale è sempre stato una spina nel fianco del Comune, che, rendendosi conto dell’orrore del rudere in quel punto della città, per anni ne ha completamente rivestito tre facciate con impalcature a loro volta ricoperte da vistosissimi e pacchiani teloni pubblicitari. Ma erano palliativi, “peso el tacon del buso” anzi.
E allora via con il solito valzer di idee e progetti dopo che tutte le aste per la vendita erano andate deserte. Prima per farlo diventare hotel di lusso, poi area commerciale con negozi e supermercato di prodotti alimentari top, poi di nuovo parcheggio. Qualcuno aveva anche pensato in grande promettendo una riqualificazione complessiva di tutta l’area dell’Isola.
Tante idee e zero risultati, come sempre. Vicenza, si sa, è una città dai tempi lunghi (vedi il mezzo secolo per ricostruire il teatro civico) ma nel caso dell’ex Macello si sta sforando ogni ragionevole limite. La colpa però è anche dei vicentini, dell’imprenditoria locale che non trova risorse e idee per dare nuova vita a un pezzo così importante e vistoso del Centro Storico. Ci sarebbe l’art bonus per fare i mecenati senza spendere troppo.
Ci potrebbe stare qualsiasi cosa in quel punto, Vicenza città d’arte può dare mille spunti e lì ci vedrei bene, magari, una dépendance di Palazzo Chiericati o il Museo dell’Oro a onore e gloria di uno dei centri mondiali della lavorazione del pregiato metallo.
E invece teniamoci ancora questo orrore, in pieno centro della città, di cui ci si può solo vergognare.
Qui gli articoli della nuova rubrica “La Vicenza degli orrori”
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