Il Senato americano si prende una pausa di due settimane per il weekend del 4 luglio, festa dell’indipendenza. Poi il mese di agosto i senatori hanno in calendario un’altra pausa di quattro settimane per letture estive nella loro preparazione per la stagione legislativa che inizia nel mese di settembre. Dei 24 mesi dall’insediamento di Joe Biden fino alle prossime elezioni di midterm nel 2022 quindi si va a una riduzione di un mese e mezzo. Bisogna poi aggiungere anche un altro mese perduto dopo l’insediamento per le negoziazioni delle procedure causate dal “pareggio” al Senato di 50 a 50. Mitch McConnell, leader repubblicano, e Chuck Schumer, leader democratico, hanno alla fine trovato il compromesso che dà ai democratici il lieve controllo della Camera Alta. Da febbraio ad oggi sono anche passati quasi altri cinque mesi, quindi all’amministrazione di Biden ne rimangono 17 in cui i democratici controllano sia il potere esecutivo che quello legislativo. Il tempo stringe e i repubblicani stanno facendo di tutto per fare scadere l’orologio, sperando di ottenere la maggioranza in una o ambedue le Camere alle elezioni di midterm. In tal caso, Biden si vedrebbe le mani quasi completamente legate e diventerebbe un’anatra zoppa per i due anni restanti del mandato.
I democratici sanno benissimo dell’ostruzionismo anche perché McConnell lo ha confermato quando ha detto che la sua strategia sarà quella di bloccare l’agenda “sinistroide” del presidente Biden. Gli ultimi episodi di questo ostruzionismo si sono veduti recentemente quando i repubblicani hanno bloccato la formazione di una commissione per studiare l’insurrezione al Campidoglio il 6 gennaio scorso. Il senatore democratico conservatore del West Virginia Joe Manchin credeva che si fossero potuti trovare 10 senatori repubblicani favorevoli i quali si sarebbero aggiunti ai 50 democratici per approvare la misura. Manchin infatti aveva anche direttamente chiesto il favore a McConnell il quale si è rifiutato, vedendo la creazione della Commissione un serio svantaggio alle prospettive elettorali del suo partito nel 2022. Un altro esempio di ostruzionismo molto più fresco si è avuto con l’apertura al dibattito su HR1, For the People Act, la misura di legge sulla riforma elettorale approvata alla Camera. Non si trattava di sottoporla al voto ma semplicemente di iniziare il dibattito che sarebbe sfociato in modifiche promosse da Manchin in un altro tentativo di operare in maniera bipartisan.
Manchin aveva annunciato delle modifiche sperando che una decina di senatori repubblicani avrebbero accettato ma McConnell è riuscito a mantenere il suo caucus compatto. I democratici sapevano già che la loro riforma non sarebbe stata approvata ma hanno promosso la misura per cominciare a convincere Manchin e l’altra senatrice democratica Kyrsten Sinema (Arizona) all’eliminazione del “filibuster” che richiede una super maggioranza di 60 dei 100 voti al Senato per procedere ai dibattiti e le votazioni.
Alcuni democratici di sinistra come Alexandria Ocasio-Cortez, parlamentare di New York (14esimo distretto) hanno perso la pazienza e vedono le sole possibilità di agire mediante l’eliminazione del filibuster. Si tratta di una preoccupazione seria poiché se da una parte i repubblicani sono molto efficaci con il loro ostruzionismo si stanno anche preparando in maniera pericolosa alle prossime elezioni. Il Brennan Center for Justice, un’organizzazione progressista alla Facoltà di Legge nella New York University, ci informa che dall’elezione del 2020 ad oggi 17 Stati hanno approvato leggi che limitano il diritto al voto. Questa strategia di Stati dominati da repubblicani si rifà alle leggi del Sud di ridurre i diritti degli afro-americani dopo la Guerra Civile che sono continuati e espansi anche negli Stati del Nord. Si tratta di leggi che riducono le opportunità di votare e che colpiscono in grande misura gli afro-americani, altri gruppi minoritari e in linea generale le classi più povere che di solito votano in massa contro i repubblicani. In alcuni Stati, leggi già promulgate ed altre in programma tolgono addirittura alle circoscrizioni locali il diritto di dichiarare i vincitori nelle elezioni conferendolo alle legislature Statali. Questa è stata una strategia di Donald Trump il quale cercò di fare ribaltare le elezioni locali specialmente in Georgia, Arizona, Michigan, Nevada e Pennsylvania, gridando alla frode elettorale senza però offrire prove.
Nonostante queste attività antidemocratiche i senatori continuano a cercare strade bipartisan. Dieci di loro, 5 repubblicani e 5 democratici, hanno raggiunto un accordo sulle infrastrutture che il presidente Biden ha accettato. L’accordo stanzierebbe 1000 miliardi di dollari (600 mila nuovi investimenti) sulle infrastrutture tradizionali come strade, ponti, reti ferroviarie ecc. La sinistra però non è entusiasta poiché non include le “infrastrutture umane”, investimenti sulle famiglie, asili nido per tutti i bambini, e le iniziative per affrontare i cambiamenti climatici. Nancy Pelosi, speaker della Camera, e Schumer, leader al Senato, hanno ambedue reiterato l’importanza delle infrastrutture umane senza nascondere la loro delusione. Biden ha reiterato anche lui la priorità delle infrastrutture umane e ha chiarito che sarebbero incluse in un altro disegno di legge che verrebbe approvato mediante la manovra di “reconciliation”. Questa manovra raggira il “filibuster” poiché richiede solo 50 voti invece di 60 al Senato. La manovra bipartisan e quella probabilmente solo con voti democratici verrebbero considerate in tandem. L’attuale inquilino della Casa Bianca ha dichiarato che non firmerà una legge senza l’altra.
Al momento Biden sta tentando di remare con la destra e anche con la sinistra. La strada bipartisan riflette la sua visione tradizionale di centrista e quella della “reconciliation”, la sua nuova faccia progressista. Molto dipenderà da McConnell il quale si è espresso con parole dure sulla doppia strada intrapresa da Biden. Il leader della minoranza al Senato ha detto che rimane confuso dalle prospettive “bipartisan” di Biden le quali contrastano con “l’ultimatum” di imporre il suo veto se solo una della due misure arriverà alla Casa Bianca. Comunque vada, il 46esimo presidente non chiude la porta né a una politica bipartisan né alle manovre delineate solo dai democratici.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.