“Una specie di paradiso”, il viaggio del vicentino Antonio Pigafetta intorno al mondo

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Un viaggio, anzi, il viaggio. Che pochi sognavano, immaginavano, magari vagheggiavano, ma che nessuno aveva fatto e molti, i più, neppure osavano pensare. Il giro completo del globo, sempreché di un globo si trattasse, e non di un disco, un enorme vassoio, ché la spinosa questione era stata risolta da non molti lustri ma, a dispetto dei viaggi del genovese Colombo, la certezza ancora non c?era. Il portoghese Fernao Magallhaes, detto Magellano, lanciò l?idea di una spedizione al re di Spagna, al quale piacque. Partì il 14 settembre 1519 con 5 caracche, 265 uomini e un corrispondente di bordo, Antonio Pigafetta, vicentino. 

Di quell?avventura senza frontiere il giovane inviato fece un reportage straordinario. Lo scritto originale chissà dov?è finito, a noi ne sono arrivate una cinquantina di versioni, quella scovata nel 1797 da Carlo Amoretti, bibliotecario dell?Ambrosiana, a Franco Giliberto e Giuliano Piovan è parsa la più credibile. Ed è alla base del loro “Una specie di paradiso”. Gli autori hanno immaginato che il giovane Pigafetta, oltre a tenere un diario ufficiale, nei lunghi momenti di solitudine, ne scrivesse uno intimo, nel quale confessava la tanta vita, le troppe morti e i pochi miracoli che caratterizzarono quel viaggio “all inclusive” intorno al mondo, lo stupore per le stagioni capovolte, sotto la linea non ben definita dell?equatore, i costumi degli indigeni, le splendide donne, gli animali, i racconti di altre bestie che parevano uscite dalla mitologia e che Pigafetta annotava con grande puntualità ma pari scetticismo: cronista purosangue, com?è oggi Giliberto, era consapevole di aver ignorato quel precetto che, secoli più tardi, Gianfranco Piazzesi avrebbe così sintetizzato: ?Esiste una sola regola da osservare con il massimo rigore, scrivere solo cose di cui si hanno le prove?. Per questo, tormentato dai mille dubbi, Pigafetta commenta: ?Il colmo dell?invenzione?.

Al contrario, le prove le ebbe, poiché vi assistette, della morte di Magellano in una scaramuccia con indigeni furiosi per aver visto in qualche modo tradita la loro fiducia. Puntuale e avvincente il resoconto nel diario ?intimo?. Con tono caldo, partecipe, ci vengono poi raccontati la vita di bordo, le tempeste assassine, le bonacce rischiose, i malumori, i tentativi di ammutinamento, le orribili punizioni, le defezioni, gli slanci di generosità, le prove di estrema grettezza. Si vede il trionfo della solitudine dell?uomo in mezzo al mare, al nulla, quando ti restituisce la vita solo scorgere sull?orizzonte una incerta linea scura. È poi impossibile sospettare che uno solo dei termini marinareschi venga usato a sproposito, il che non guasta: Piovesan, illuminato satrapo delle onde, è troppo esperto della materia per rischiare uno scivolone. Per il lettore che si trovasse in difficoltà, un glossario a termine del libro potrà fargli da guida.

Dal viaggio più lungo di tutti i tempi, è durato tre anni, il 6 settembre 1522 tornò una sola caracca, la Victoria, malconcia ma orgogliosa e carica di preziose spezie.

Solo in 18 i superstiti di quel viaggio. 

di Vincenzo Tessandori da Il Fatto Quotidiano