Oggi il GdV, dopo l’ennesima sconfitta casalinga del fu Lanerossi, titola sul fallimento sportivo, dopo quello economico-finanziario ed etico (ahi, ahi Vicenza!), di una squadra che per i tifosi che ha meriterebbe ben altra città. Lo stesso curatore fallimentare del Vicenza Calcio Nerio De Bortoli si lascia sfuggire o, meglio, urla che se potesse non rifarebbe questa esperienza. Perchè? Per colpa dei tifosi che ora contestano anche lui, “presidente” pro tempore tribunalizio del club?
No, perchè quei vicentini con la sciarpa biancorossa indelebilmente tatuata sul collo sono praticamente gli unici ad aver messo mano al portafoglio, per quanto di povera gente, impoverita anche, direttamente e/o indirettamente, dal crac della Banca Popolare di Vicenza.
Praticamente gli unici perchè quel mago della comunicazione che risponde al nome di Achille Variati, oltre a reinventarsi tifoso del calcio, lui che tifa solo per i giochi della politica, ha fatto, lui che nessun potere esercita verso i poteri locali…, le sue “raccomandazioni” alle associazioni di categoria, anche quelle escluse dal poker che domina Vicenza, perchè versassero un obolo per la gestione dell’esercizio provvisorio in attesa che si facessero vivi i solerti imprenditori locali, tutti loro lì pronti a salvare la storia del club a partire da quelli che delle simpatie dell’amministrazione si sono circondati e cibati nell’ultimo ventennio.
Peccato che le poche migliaia di euro raccolte dalle associazioni su input del regista del sistema Vicenza siano state meno delle banconote uscite dagli esangui portafogli proletari e peccato che soldi associativi e denari di famiglie siano finiti in un pozzo di S. Patrizio visto che i danarosi imprenditori locali, e lo sta scoprendo De Bortoli, che perciò volentieri si tirerebbe indietro, sono gli stessi bravi a sponsorizzare, prima, Gianni Zonin quando da via Btg. Framarin dispensava tutto il dispensabile e anche di più, poi a proclamare con associazioni varie la loro disponibilità a ricapitalizzare quel che restava, non poco come aveva capito per tempo Intesa Sanpaolo, della BPVi, e, infine, a lamentarsi che quest’ultima abbia fatto bingo accaparrandosi la banca con quei 50 centesimi che neanche erano stati disposti a versare di tasca propria…
Di salvataggio autoctono della BPVi in tanti hanno parlato ipocritamenye e nessuno ha operato concretamente per attuarlo, eppure c’era da fare un business solo ad assumersi parte del rischio.
Volete che il Dna di quegli “imprenditori” cambi per mettere soldi in un club che darebbe come ritorno, per lo meno nei prossimi anni, solo la riconquista di un pezzo di dignità di un territorio offeso e smarrito?
Chi si appella a quel Dna cosa volete che sia se non il migliore interprete locale dell’apoteosi dell’ipocrisia: tante parole, pochi o punto fatti!