L’importante era il risultato. E la vittoria è arrivata puntuale anche se quella contro il Pescara non è stata la partita migliore giocata dai biancorossi. A quota salvezza mancano ora solo dieci punti: che sia il caso di cominciare a guardare in alto?
Nel più recente scorcio di stagione il Vicenza ha trovato finalmente un equilibrio, nel senso che riesce a essere competitivo per una gara intera e non solo per un tempo; che anche gli attaccanti segnano e integrano così le marcature di difensori e centrocampisti; che la difesa non incassa (quasi) più gol su errore di posizionamento o individuale; che tutti i giocatori hanno raggiunto un livello di condizione uniforme.
Con queste premesse hanno sempre un senso le ripetute rotazioni, in alcune partite inspiegabili e comunque non funzionali, a cui Di Carlo fa spesso ricorso. Nel turn over rientrano ancora, per altro, alcuni giocatori che ormai hanno dimostrato i propri limiti e, infatti, quando scendono in campo, la squadra fa più fatica.
La rinascita biancorossa è legata anche al gran momento che stanno attraversando tre senatori: Rigoni, Meggiorini e Giacomelli (che hanno rispettivamente 36, 35 e 30 anni) sono i tre uomini-squadra e ciascuno di loro sta dando un contributo fondamentale a centrare l’obbiettivo salvezza.
Luca Rigoni, sia nel ruolo di mediano che in quello di mezzala, è una pedina fondamentale del centrocampo e si sta ripetutamente proponendo in attacco come rifinitore. Il capitano Giacomelli ha raggiunto una lucidità che in passato non sempre aveva dimostrato e si è calato alla perfezione nella funzione di giocatore a tutto campo in grado tanto di riavviare l’azione che di concluderla con assist o tiri. Riccardo Meggiorini è il goleador da doppia cifra che serviva al Vicenza per essere completo. Portato più vicino alla porta, ha segnato una sequenza di bei gol che lo hanno portato al quarto posto nella classifica marcatori. Nella sua lunga carriera non ne aveva mai fatti tanti. L’annata migliore era stata quella dello scorso campionato di Serie B con la maglia del Chievo, in cui aveva firmato otto centri in ventisei presenze.
Il merito della crescita del Lane va evidentemente condiviso fra i giocatori e l’allenatore. A Di Carlo bisogna riconoscere di aver saputo gestire fasi molto difficili come quella dei contagi e quella degli infortuni. E anche di aver reso la squadra duttile nell’adattarsi, anche nel corso della stessa partita, a moduli diversi. Mimmo è stato bravo pure nel portare a livello di categoria alcuni giocatori esordienti o quasi come il portiere Grandi, il terzino Beruatto, il centrocampista Pontisso, il jolly Zonta. Un applauso, infine, gli va tributato per aver lanciato fra i migliori giocatori del campionato Dalmonte e Da Riva, a cui solo i recenti infortuni non hanno permesso di essere primattori nel Vicenza degli ultimi tempi.
Per obbiettività si deve riconoscere che, invece, certi uomini non hanno dato a Di Carlo le risposte che si attendeva. La delusione maggiore è forse quella di Vandeputte, di cui ci si aspettava l’esplosione in questo campionato e che non è ancora riuscito a riproporre in Serie B le notevoli qualità che aveva dimostrato di avere nella categoria inferiore. Mimmo nemmeno è riuscito a ottenere una resa adeguata da tre attaccanti che, a inizio stagione, si pensava sarebbero stati protagonisti. Longo, Jallow e Gori non sono mai saliti a un livello adeguato a farne dei titolari, pur avendo avuto molte occasioni per farsi valere. È davvero un mistero la pochezza dimostrata da questi tre giocatori: i primi due non sono mai stati dei fenomeni ma non sono neanche gli ultimi arrivati e Gori è una giovane promessa che la Fiorentina sta facendo crescere nelle categorie inferiori. Sono davvero gli attaccanti evanescenti visti finora?
L’ambientamento in B è stato forse più lungo del previsto ma, con la primavera, il quadro si sta completando. Manca davvero poco per arrivare al top e la chiave è la continuità. È stato questo il problema tecnico principale del Vicenza: fino alla partita della svolta (quella a Brescia del 4 gennaio) si sono alternate, infatti, prestazioni troppo diverse e mancava una identità ben definita alla squadra. Certe insicurezze, certi errori grossolani erano inspiegabili. Sembrava che il massimo per il Lane fosse il pareggio. Una mentalità, questa, obbligata non solo da situazioni tecniche o di infermeria ma forse anche un po’ indotta da poca autostima o magari da una visione – diciamo così – utilitaristica della panchina.
Quello di oggi è invece un Vicenza sicuro di sé, sgravato da eccessive preoccupazioni di salvarsi, guidato da tre uomini-squadra. Un Vicenza attento, senza sbavature, continuo. A questo punto, rinunciando alla scaramanzia, perché non cominciare a guardare ai piani alti? Non sono poi molto lontani e il sogno play off sta perdendo i connotati di utopia.
Non ho parlato, volutamente, della vittoria sul Pescara. Perché non c’è stata partita. L’avversario era di una pochezza tale che avrebbe perso anche contro il Padova.