Un antico proverbio ricorda che la terra è bassa perché ci si china per coltivarla. Almeno così è stato per millenni, quando la semina era la dispersione superficiale dei grani nel terreno, poi sotterrati a mano o con l’ausilio di un aratro manuale. Con la meccanizzazione dell’agricoltura e la diversa tipologia delle coltivazioni, è venuta sempre meno la fatica del chinarsi.
Nel 1950, la percentuale nel nostro Paese dell’occupazione agricola su quella complessiva si attestava oltre il 40%. Dopo trent’anni è scesa al 12%, certificando così il passaggio dall’Italia agricola a quella industriale. Oggi, gli addetti all’agricoltura non arrivano a 3 milioni e due aziende su tre sono scomparse, evento in parte razionalizzato dal raddoppio delle superfici agricole utilizzate.
L’evoluzione del sistema agricolo globale – diminuzione degli addetti e aumento delle superfici coltivabili – riguarda, peraltro, la maggior parte dei Paesi ad alto reddito. Al contrario, in quelli a basso e medio reddito, si registra una disaggregazione ulteriore in piccole aziende.
Una caratteristica dell’agricoltura italiana concerne la proprietà, che rimane per la maggior parte a conduzione familiare, con circa 1,4 milioni di addetti, ai quali si aggiungono 1,3 milioni di persone non familiari. Queste ultime costituiscono il 47% degli addetti complessivamente impegnati nelle attività agricole, svolgendo lavori stagionali o limitati a singole attività produttive. Nell’ultimo decennio si è accentuata la presenza della manodopera straniera tra i lavoratori non familiari: nel 2020 era di un lavoratore su tre. Il ricorso a manodopera straniera, Ue e extra Ue, è particolarmente diffuso tra le forme contrattuali più flessibili, che riguardano lavoratori saltuari e non assunti direttamente dall’azienda. In quest’ultima categoria, il 45% dei lavoratori non è di nazionalità italiana e ben il 29% proviene da Paesi extra Ue (dati Istat).
E’ di tutta evidenza che la nostra agricoltura abbia la necessità di ricorrere alla manodopera straniera, pena il suo collasso.
Un aspetto particolare del problema è, però, quello dei cosiddetti “invisibili”, cioè di lavoratori immigrati senza permesso di soggiorno che alimentano il vortice del caporalato e dello sfruttamento lavorativo. Un tentativo di soluzione, con una sanatoria per i lavoratori agricoli stranieri, è però fallito. Il governo Conte II approvò un decreto legge per favorire l’emersione dei rapporti da lavoro nero che – immaginato per i lavoratori dei campi – ha invece favorito i lavoratori domestici e di assistenza alla persona. Ben l’85% delle domande trasmesse riguarda, infatti, colf e badanti.
Risorsa o problema? E’ l’interrogativo che si pone di fronte al flusso di migranti, sia regolari che irregolari. Venuta meno l’imputazione di favorire la criminalità – propagata da singoli episodi – vista l’ attestata diminuzione complessiva dei reati, si è alimentata l’idea di un progetto di “sostituzione etnica” che fa presa sulle menti deboli. I migranti ci sono e ci saranno, sta a noi e ai governanti trasformare il problema in opportunità.
(Articolo pubblicato sul quotidiano LaRagione dell’8 Luglio 2022)
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