In Russia c’è il “caso Navalny” ma ricordiamo che Leonard Peltier è in carcere in Usa da 45 anni, innocente

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C’è il “caso Navalny” che, in questi giorni, riempie di notizie tutti i giornali e le televisioni. Certo, “fa notizia” la sua condanna a 3 anni e 6 mesi. Certo, lui è il prototipo dell’eroe che piace tanto agli opinionisti perché si oppone alla “odiosa dittatura” di Putin. E, poi, è un personaggio che assomiglia tanto al prototipo “dell’eroe giovane e bello” …

Navalny Russia
Navalny Russia

… quello che, però, vorrei evidenziare (per l’ennesima volta) è il silenzio con cui viene coperto un altro “caso” che c’è da tanto tempo in un paese nostro alleato, in quella che viene, da molti, considerata la più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti d’America. Mi riferisco al “caso Leonard Peltier”, del quale si parla e si scrive a malapena, lasciando passare tanto di quel tempo tra una notizia e l’altra da risultare inesistente. Le notizie, difficili da trovare, sono diffuse da chi, con ostinata testardaggine e utilizzando pochi mezzi e minori risorse economiche, tenta di tenere viva l’attenzione riguardo la vita di Leonard.

Leonard Peltier, ormai anziano e malato, non ha gli occhi azzurri e neppure i capelli biondi. E non è “giovane e bello”. È figlio di quella che viene considerata da troppi “una razza inferiore”, appartiene a un popolo che molti sostengono composto da persone “brutte, sporche e cattive”.

Leonard non è un “eroe”. Eppure ne avrebbe tutte le caratteristiche. Ha lottato (e condinua, nonostante tutto a farlo) per i diritti del suo popolo e per questo si avvia a concludere la sua vita terrena rinchiuso in una prigione da molto, troppo tempo. Per l’esattezza dal 6 febbraio 1976 … sì, sono 45 anni!

È stato condannato a due ergastoli per l’uccisione di due agenti FBI, ma si è sempre dichiarato innocente. La sentenza è arrivata dopo un processo che definire “strano” è fuorviante. È stata emessa in maniera definitivada una corte ostile, avvallata da pochi indizi neppure confermati, con testimonianze probabilmente estorte e che sono state presto ritrattate. Una condanna che non è stata messa indiscussione da successive prove che lo scagionavano ma che non hanno portato né alla revisione del processo né alla “grazia” (unica via percorribile per tornare in libertà) di nessuno dei presidenti statunitensi che si sono succeduti in tutti questi anni.

Leonard Peltier non vuole né avrebbe voluto essere un eroe. Ha fatto la sua scelta di vita e, per questo, ha saputo resistere alle ingiustizie che ha dovuto subire. È un combattente che lotta ancora dal carcere per il suo popolo, per quelle persone, i nativi americani, a cui sono stati rubati diritti inalienabili e depredati i territori che loro abitavano da tempo immemorabile.

Si provi a immaginare a cosa può significare rimanere rinchiuso 45 anni; a cosa può pensare quest’uomo di oltre 76 anni. A come abbia potuto resistere tanto tempo in isolamento. E a come sia riuscito a sopravvivere e continuare a pensare, a ragionare, a lottare.

Leonard Peltier non si è mai piegato di fronte alle ingiustizie che ha dovuto subire. Non si è mai inginocchiato per chiedere di essere perdonato. Non  poteva farlo per il semplice fatto che è innocente e non avrebbe mai potuto dichiarare di essere un assassino.

Leonard Peltier è un uomo integro, un prigioniero politico, un vero lottatore.

Forse è per questo che è volutamente dimenticato da quei personaggi che dirigono le grandi “nazioni democratiche”. Riconoscere ufficialmente che esiste una persona innocente che vive da 45 anni in una cella della maggiore potenza economica e militare del mondo a causa di una sentenza ingiusta, sarebbe come ammettere il fallimento di un intero sistema. Un sistema iniquo, retto su principi imperiali, gli stessi che hanno prodotto guerre e devastazioni in ogni parte del nostro pianeta.

Ricordiamoci che la fine dell’apartheid in Sudafrica iniziò con la liberazione di Nelson Mandela, dopo 27 anni di prigionia. Tutto il mondo lo vide quando uscì dal cancello della prigione attorniato a migliaia di donne e uomini del suo popolo che esprimevano una felicità incontenibile. Ci sentimmo tutti più liberi.

Leonard Peltier è in carcere da molti più anni ma è molto meno famoso. Non fa e non deve fare notizia. Si è opposto alle ingiustizie della “democrazia statunitense”, per questo deve scontare anche la condanna all’oblio.

Il suo popolo è stato massacrato, sconfitto, umiliato, costretto a vivere in riserve ai “margini della civiltà”, togliendo ad esso diritti e dignità. La lotta del popolo dei nativi americani conta poco negli equilibri mondiali. La sua storia, fatta di orrendi massacri, di annientamento di milioni di vite e di discriminazione, è stata spesso descritta solo con qualche nota di folklore. È comunque un popolo fiero e Leonard Peltier ne è l’esempio. Dopo 45 anni di carcere e lunghi periodi di isolamento, è ancora e per sempre un uomo libero perché non ha mai smesso di pensare, non è mai sceso a compromessi, non ha mai abiurato i suoi ideali e la lotta.

Leonard Peltier ha pieno diritto di uscire dalla prigione, respirare l’aria che avvolge gli uomini liberi e camminare libero, senza catene.

È tempo che il mondo riconosca che, contro Leonard Peltier, è stata commessa, da parte degli Stati Uniti, la più odiosa delle ingiustizie.

Un’ingiustizia che può colpire chiunque non sia omologato al sistema o sia considerato “diverso” perché, come dice Peltier: “la mia colpa è di essere indiano d’America, e la tua?”  Con questo semplice verso Leonard lancia un monito, nessuno è immune perché ognuno può avere un peccato originale, la colpa, cioè, di essere nato nella “parte sbagliata del mondo”.

Di fronte alla vita e alle sofferenze di quest’Uomo è necessario fare un appello a chi non si arrende di fronte alle ingiustizie, a chi non gira la testa dall’altra parte, a chi lotta per un mondo migliore e più giusto rifiutando qualsiasi discriminazione. Ricordatevi di Leonard Peltier e dite a tutti, anche a chi è indifferente, a chi non conosce la storia di questa persona e a chi preferisce non sapere, che nessuno può dirsi assolto se non fa almeno qualcosa perché Leonard Peltier possa tornare libero.


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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.