In merito al progetto di potenziamento dell’inceneritore di Schio e a recenti dichiarazioni comparse sulla stampa locale relative all’incenerimento dei fanghi di depurazione, ISDE Medici per l’Ambiente, che ha effettuato un sopralluogo in occasione del test di incenerimento tenutosi a Schio, ritiene necessario effettuare alcune precisazioni.
Nella primavera dello scorso anno, 25,91 tonnellate di fanghi essiccati provenienti dal depuratore di Schio sono state incenerite presso l’impianto di Cà Capretta, secondo un protocollo d’intesa siglato dalle due società pubbliche AVA, proprietaria dell’inceneritore, e Viacqua. Il test, finalizzato alla verifica della fattibilità della termovalorizzazione come soluzione agli elevati costi di smaltimento dei fanghi di depurazione, si è concluso, secondo la relazione finale stilata da AVA, senza problemi tecnici.
I fanghi inceneriti sono stati considerati “privi di PFAS” sulla base di analisi in grado di rilevare soltanto quantità di PFAS superiori a 50 microgrammi/kg, valore centinaia di volte più alto dei limiti provvisori allo scarico fissati dalla stessa regione Veneto per alcune PFAS. Per questi motivi non è possibile affermare che i fanghi inceneriti fossero privi di PFAS, la cui diffusa presenza nei fanghi di depurazione delle acque reflue, ampiamente riportata in letteratura scientifica, è peraltro confermata dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, da ARPAV, dalla stessa Regione Veneto ed è anche compiutamente descritta nella relazione sulla diffusione delle PFAS della Commissione parlamentare di inchiesta. Nel corso dei test effettuati a Schio, inoltre, la ricerca di PFAS nei fumi del camino non è stata eseguita, non essendo tale analisi obbligatoria per legge, mentre la letteratura scientifica è concorde nel ritenere che alle temperature raggiunte negli impianti di incenerimento RSU la termodistruzione di molte di tali sostanze non può avvenire e che tecnologie efficaci in tal senso non sono ancora state messe a punto.
La dichiarazione ufficiosa, peraltro priva di motivazioni, di Viacqua di non voler proseguire con il progetto di incenerimento, non elimina la preoccupazione che questa pratica possa in realtà essere inclusa nel progetto di ampliamento dell’inceneritore. La Regione, infatti, considera il recupero energetico dei fanghi un’opzione percorribile e l’impianto di Schio è tuttora autorizzato ad incenerire tale tipo di materiale, mentre a Casale (Vicenza) è prevista la costruzione di un impianto per l’essiccazione dei fanghi, trattamento indispensabile prima dell’incenerimento.
L’incenerimento dei fanghi di depurazione, così come l’incenerimento dei rifiuti, comporta l’immissione nell’aria, nell’acqua e nel suolo di molti tipi di inquinanti, tra cui particolato, diossine, PFAS, PCB e metalli pesanti, sostanze in grado di agire come interferenti endocrini anche a concentrazioni molto basse e alla cui esposizione sono stati associati alcuni tipi di tumore. Il rispetto dei limiti di legge nelle emissioni non può essere considerato protettivo per la salute poiché tali molecole, una volta giunte nell’ambiente, sono di difficile degradazione e tendono dunque ad accumularsi in aria, acqua e suolo e ad entrare nella catena alimentare, come dimostrato da recenti studi di biomonitoraggio condotti nei pressi di alcuni inceneritori in Europa che hanno rilevato la presenza di alte concentrazioni, tali da superare i limiti UE per la sicurezza alimentare, di diossine, PCB e PFAS nella vegetazione e nelle uova di animali allevati nei pressi degli impianti.
Come indicato dalla commissione europea, “il contributo maggiore al risparmio energetico e alla riduzione delle emissioni di gas serra proviene dalla prevenzione e dal riciclaggio dei rifiuti”, mentre il Regolamento Ue 2020/852 esclude l’incenerimento tra le tecnologie che prevengono i cambiamenti climatici. Alla luce di queste considerazioni, e in base agli articoli 9 e 32 della Costituzione Italiana, nessun ampliamento della capacità di incenerimento dovrebbe essere realizzato fino al raggiungimento in tutti i comuni della regione Veneto degli obiettivi regionali, fissati per il 2030, che sono obbligo di legge (R.D. 84% e rifiuto residuo pro capite minore di 80 Kg). Tali risultati, che peraltro permetterebbero di ridimensionare fin da ora l’impianto, sono assolutamente perseguibili seguendo l’esempio dei comuni del bacino Destra Piave, cui appartiene la ricca città di Treviso, che con i loro 40 Kg pro capite di rifiuto residuo ci ricordano che bruciare di più, oltre che inaccettabile, non è neppure necessario.