Di seguito gli articoli de Il Fatto Quotidiano sull’inchiesta camici
Il 20 maggio scorso, Andrea Dini, patron della Dama Spa, con un’email avverte l’allora direttore generale di Aria che la fornitura di camici per l’emergenza Covid si fermerà a 49 mila invece dei 75 mila iniziali e sarà trasformata in donazione. Il dg della centrale acquisti della Regione Lombardia, Filippo Bongiovanni, prende atto e ringrazia.
Perché non fece presente adini la differenza di 26 mila camici ancora da consegnare secondo l’accordo siglato il 16 aprile? La domanda è stata posta dalla Procura al dirigente ed ex finanziere durante l’interrogatorio della scorsa settimana. Secondo quanto ricostruito dal Fatto , Bongiovanni ha spiegato ai pm che in quel momento – siamo ancora in piena emergenza – i camici non servivano più. Questa, secondo l’accusa, la spiegazione dell’ex dirigente oggi indagato per turbata libertà del contraente e frode in pubbliche forniture. Posizione curiosa visto che pubblicamente, più volte, la Regione ha spiegato in questi mesi di aver necessità di 3 milioni di camici al mese, circa 50 mila al giorno. I camici mancanti – hanno ricostruito i pm – saranno oggetto di un tentativo di vendita separata da parte di Dini a un’azienda del Varesotto a un prezzo di 9 euro, 3 in più rispetto all’offerta iniziale fatta ad Aria. La scelta di bloccare la fornitura a 49 mila camici fu poi dettata dall’intervento di Fontana, che chiese al cognato di rinunciare al compenso. Denaro che lo stesso governatore tenterà di risarcire con un bonifico di 250 mila euro da un suo conto svizzero. E proprio sui camici mancanti ieri sera la Guardia di finanza ha eseguito una perquisizione lampo alla sede della Dama dove sono stati trovati i camici e altro importante materiale probatorio.
NON È PERÒ solo questa l’unica incongruenza che emerge dalle indagini. Una seconda riguarda il periodo in cui il governatore, indagato solo per frode in pubbliche forniture, è venuto a conoscenza del rapporto commerciale tra Dama e Aria. Secondo Bongiovanni la notizia arrivò sul tavolo del capo segreteria Giulia Martinelli domenica 10 maggio, secondo Fontana, che ne ha parlato lunedì in Consiglio regionale, il 12 maggio ovvero il giorno prima dell’intervista fatta a Report. C’è però una terza versione ed è quella messa a verbale dall ’ assessore regionale all’ambiente, Raffaele Cattaneo, sentito a sommarie informazioni e non indagato. Durante l’emergenza Covid, Cattaneo ha diretto la task force per gli approvvigionamenti di mascherine e altro. Ai pm, per quanto risulta al Fatto , spiega che informò Fontana di un possibile rapporto commerciale tra Dama e la Regione prima che la società di Andrea Dini sottoscrivesse il contratto retrodatando il tutto a metà aprile, cioè un mese prima rispetto alla versione di Fontana. Una ricostruzione involontariamente confermata dallo stesso presidente, quando in Consiglio ha spiegato: “Sapevo che Dama si era dichiarata disponibile a rendersi utile. L’assessore Cattaneo aveva interpellato Dama e altri imprenditori sul territorio disposti a dare una mano”. Nessuna delle altre aziende, spiega la Procura, ha fatto donazioni ad Aria, ma so lo offerte. Del resto, in una lettera poco prima del 12 aprile, giorno di Pasqua, già pubblicata dal Fatto , lo stesso Dini invia a Bongiovanni l’offerta commerciale di 75mila camici per 513 mila euro. Qui Dini scrive: “Egregio dottor Bongiovanni, come da indicazioni del dottor Cattaneo le invio la nostra proposta”. Dopodiché chiude con un “Buona Pasqua”. Il contratto viene siglato il 16 aprile. Insomma ben poco torna nelle ricostruzioni del governatore Fontana. Incongruenze che, secondo la Procura, corroborano e chiudono il cerchio attorno alla vicenda-camici dove Fontana è accusato di frode in pubbliche forniture. Accusa legata al suo “ruolo attivo” nel far retrocedere il cognato Dini dal rapporto commerciale con la Regione per tutelare la sua immagine. Ciò provocherà una inadempienza nella fornitura.
Non ci sono solo i 5,3 milioni di euro sul conto svizzero, denaro dichiarato dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e oggi gestito all’estero dalla società milanese Unione fiduciaria. La ricchezza del governatore si basa anche su altro: sull’intramontabile mattone. Basta una visura catastale per scoprire che è proprietario (in alcuni casi al cento per cento, in altri con la moglie in regime di separazione dei beni) di 31 fabbricati e quattro terreni, tutti sparsi tra Varese e Induno Olona. Non che sia un reato, anzi questi immobili sono stati pubblicati nella dichiarazione sostitutiva relativa alla situazione patrimoniale che si trova nella sezione “amministrazione trasparente” del sito della Regione Lombardia.
Ci sono dunque abitazioni, alcune con annessi box, appartamenti in villini, negozi, uffici, locali di deposito e immobili catalogati come “stalle, scuderie, rimesse, autorimesse (senza fine di lucro)”.
Il feudo del presidente della Regione Lombardia sembra essere fuori Milano, a Induno Olona, paesino in provincia di Varese, che conta quasi 11mila abitanti e del quale in passato, dal 1995 al 1999, Fontana è stato sindaco. Qui, stando alla visura, ma risulta anche dalla dichiarazione del governatore, si trovano 20 fabbricati di proprietà del governatore: “magazzini e locali”, “negozi” o anche come “abitazioni civili”. Tra le proprietà ad esempio Fontana è proprietario del piano terra (7,5 vani), del primo piano (7 vani) e del secondo (4,5 vani) di un villino. Sempre a Induno Olona, risultano quattro terreni di sua proprietà.
A MENO DI SEI CHILOMETRI di distanza, nella più popolata Varese – anche qui Fontana ha ricoperto la carica di sindaco, eletto nel 2006 e confermato nel 2011 – si estende il resto del patrimonio immobiliare di Attilio Fontana. Undici fabbricati, di cui alcuni posseduti in separazione dei beni, altri da solo: anche qui ritroviamo abitazioni civili, uffici e fabbricati classificati come “stalle, scuderie, rimesse, autorimesse (senza fine di lucro)”. Ad esempio, è proprietario di un piano da 7,5 vani di un palazzo.
Fontana viene da una famiglia benestante, con madre dentista e padre medico condotto. È proprio dalla madre che il governatore eredita i 5,3 milioni di euro: denaro, per quanto ricostruito dai pm milanesi, gestito fino allo “scudo fiscale” da un doppio trust aperto alle Bahamas.
C’è poi un immobile in Svizzera. Quest’ultimo non risulta dalla visura catastale, ma è annotato nella dichiarazione patrimoniale del presidente lombardo. Si tratta di una “casa plurifamiliare”, che sarebbe così composta: “appartamento e box con giardino, ruscello e bosco”.
NEI GIORNI SCORSI la Guardia di Finanza – che ha la delega a indagare nell’ambito dell’inchiesta dei pm milanesi sui camici prima venduti alla Regione dal cognato del governatore Fontana e poi trasformati in un tentativo di donazione mai formalizzata – ha acquisito anche le dichiarazioni patrimoniali del governatore, ma solo per avere un quadro completo della situazione.
I BENI NEGOZI E UFFICI SPARSI. E POI C’È UNA CASA IN SVIZZERA
L’ attenzione degli investigatorisi concentrai nfatti sull’ ormai noto conto svizzero aperto presso la Ubs, dal quale Fontana ha tentato un bonifico (poi fallito) da 250mila euro in favore del cognato Andrea Dini e della società Dama Spa protagonista della vicenda dei camici. Obiettivo del bonifico, secondo i magistrati: risarcire il parente della fornitura non pagata.
Ed è questo il cuore dell’inchiesta che vede indagato il governatore per frode nelle pubbliche forniture.
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