Indennizzi FIR col contagocce agli azzerati dalle banche, nulla ai parenti dei “banker” che hanno comprato azioni: l’appello al legislatore

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Parenti pericolosi: la legge del Fir
Parenti pericolosi: la legge del Fir

Mentre arrivano col contagocce le briciole del FIR alle vittime, centinaia di migliaia, del crac della banche venete e non solo, con la velocità delle tartarughe (o lumache, dipende dalla viscidità di chi proclama, sapendo di mentire, il successo della legge che inopinatamente, su pressione dia alcune associazioni abbracciate da M5S e Lega, ha sostituito l’originaria 205, di certo molto meglio costruita) una lettera articolata e motivata, che fa seguito ad altre mail più parziali e vari contatti telefonici sul tema, richiama l’attenzione su un particolare di non poco conto, per chi ne subisce gli effetti, della Legge n. 145 30/12/2018 art. 1 comma 505 DM MEF 10/5/2019 art. 3 sub 2 d2:

Non hanno accesso in ogni caso alle prestazioni  del  FIR  i soggetti che abbiano avuto, nelle banche di cui al comma 493  o  loro controllate, dal 1° gennaio 2007, gli incarichi  di:  componente  del consiglio di  amministrazione  e  degli  organi  di  controllo  e  di vigilanza, inclusi gli organi che svolgono funzioni di  gestione  del rischio  e  revisione  interna; membro   del   collegio   sindacale; consigliere delegato; direttore generale e vice direttore  generale, nonché i loro parenti ed affini di primo e di secondo grado“.

Pur palesando dei vizi giuridici di mancata e acclarata prova di specifiche responsabilità, ci può trovare concordi la chiamata in causa come correi “ambientali” dei crac e la conseguente condanna preventiva al non indennizzo di una serie numerosa, la massima parte visti che ben pochi sono gli imputati, di amministratori, direttori, sindaci e controllori interni a vario titolo delle “craccate” BPVi, Veneto Banca, Popolare dell’Etruria e del Lazio, CaRiFe, Banca MarcheCariChieti ecc.

Ma la lettera che ci è pervenuta da parte di un “condannato” al non indennizzo solo per aver comprato, e pagato di tasca propria, titoli poi azzerati fidandosi dei consigli di parenti “top banker” degli Istituti poi finiti in omaggio a Intesa e Ubi, a sua volta inghiottita dell’armate di Carlo Messina, ci sembra più che degna di attenzione per cui  ne sottoponiamo la lettura ai nostri “frequentatori”, agli “esperti” ed, eventualmente ai “legislatori”.

Eccola.

Egregio direttore,

sono un socio della Banca Popolare di Vicenza che è stato doppiamente colpito dal fallimento dell’istituto già presieduto dall’«inconsapevole» cav. lav. Gianni Zonin.

Il doppio danno che ho subìto è questo: non ho potuto vendere le azioni della BPVi prima del blocco del Fondo Riacquisto imposto dalla BCE nel 2014 e, poi, sono stato escluso dall’accesso al FIR in quanto sono parente di 2° grado di un sindaco di una società controllata dalla Banca vicentina.

È inutile sperare di ottenere un risarcimento al primo danno perché la via giudiziaria, in sede civile, è impraticabile: lo Stato è creditore privilegiato di circa cinque miliardi di euro verso le due banche venete in LCA e incasserà presumibilmente la totalità di quanto i liquidatori riusciranno a recuperare.

In sede penale è altrettanto vana la speranza: anche ammesso che i ben sei (!) imputati, che il Tribunale di Vicenza ha chiamato in giudizio insieme al settimo, il responsabile amministrativo BPVi in LCa, come già detto “incapiente”, siano condannati a risarcire le parti civili, è impensabile che i patrimoni degli stessi (o meglio: quanto ne rimarrà… reperibile e aggredibile) siano sufficienti a risarcire le parti offese. Per questi motivi non mi sono a mia volta costituito parte civile.

La summa iniuria però è la esclusione dal FIR ai sensi della Legge n. 145 30/12/2018 art. 1 comma 505 della Legge di Bilancio 2018, confermata dall’art. 3 del DM del MEF del 10 maggio 2019: il legislatore ha deciso che parenti e affini entro il 2° grado di amministratori, sindaci e dirigenti non solo delle Banche incluse nel FIR ma perfino delle società da queste controllate sono esclusi dall’accesso al Fondo. Perché?

Non è stato spiegato. Si può solo ipotizzare che, per Governo e Parlamento, parenti e affini (perché poi solo fino al 2° grado?) siano tutti indiscriminatamente e, soprattutto, aprioristicamente “prestanome” dei personaggi che hanno portato al fallimento le banche, prestanome, comunque, ben strani perché non hanno intascato indebiti proventi ma avrebbero comprato a prezzi gonfiati azioni a nome dei parenti.

Anche di quelli mai indagati o non rinviati a giudizio? Anche di quelli assolti? Tutti ladri, corrotti e insider traders per giunta masochisti perché avrebbero fatto comprare azioni bacate dai “prestanome” consanguinei. Per lo Stato, sì. E quindi non devono avere risarcimenti tramite terzi.

È evidente la illegittimità e la illogicità di questa esclusione. È illegittima prima di tutto perché incostituzionale: quanto meno viola il principio di uguaglianza dei cittadini (art. 3 della Costituzione italiana). Viola anche il principio inquisitorio a cui è vincolata la Pubblica Amministrazione: è lo Stato che deve dimostrare che il cittadino è colpevole. Nel nostro caso, invece, lo Stato fonda l’esclusione dal FIR su una opinabile (per non dire di peggio) presunzione: amministratori, dirigenti , controllori e sindaci sono tutti aprioristicamente collusi e colpevoli della rovina delle banche e i loro parenti e affini, per giunta predisposti a darsi delle amrellante sulle parti più intime, sono tutti loro “prestanome”. E quindi vanno esclusi da risarcimenti.

C’è poi la illogicità della esclusione: se i “boss” delle banche avessero voluto favorire sé stessi o i loro parenti “prestanome”, avrebbero fatto vendere le azioni a loro intestate. Che invece sono rimaste di proprietà di questi parenti & affini, che hanno perso tutto e sono discriminati dagli altri cittadini, invece ammessi al FIR, solo per un mero legame di consanguineità. Lo Stato non fa distinzioni: amministratori, dirigenti e sindaci sono messi tutti sullo stesso piano e la categoria “parenti&affini” è aprioristicamente collusa con i primi.

Visto che non c’è molto da sperare nella forza morale residua dei soci che si trovano nella stessa mia situazione, molti meno di quelli ammessi al Fir che ancora attendono ma ancora di più vessati perché privati anche della possibilità di avere delle briciole del danno subito,  rivolgo  in conclusione un appello almeno a legislatori coscienziosi che volessero studiare l’illogicità della legge: se convinti, senza fare troppi calcoli di convenienza politica, facciano il loro dovere e mettano un qualche riparo a questa che è una palese ingiustizia approvata nelle precedente legislatura da loro colleghi o, addirittura, da loro stessi sull’onda della rabbia delle centinaia di migliaia di vittime delle banche azzerate.

Rabbia che ha generato pochissimi imputati reali ma molti condannati effettivi… a non vedere un euro dei soldi persi perché colpevoli di… parentela.

Lettera firmata


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