Il 16 settembre scorso Giuliano De Seta, studente diciottenne dell’Istituto Tecnico “da Vinci” di Portogruaro, presente nell’azienda “Bc Service” di Noventa di Piave in esecuzione di un progetto di alternanza scuola-lavoro, è deceduto in conseguenza di un incidente: era rimasto coinvolto nella caduta di una pesantissima lastra di ferro, che lo aveva schiacciato.
Alla famiglia del giovane è stato negato, da parte dell’INAIL, l’indennizzo per il tragico incidente perché la normativa vigente lo prevederebbe soltanto nel caso in cui lo stagista fosse anche “capo famiglia”.
La notizia ha destato non poco scalpore e molte sono state le proteste per questa decisione ritenuta iniqua.
Cerchiamo, allora, di fare un po’ di chiarezza su questo caso, purtroppo non infrequente.
L’alternanza scuola-lavoro è una modalità didattica, introdotta nel sistema educativo italiano con la legge n. 53/2003 (ma già adottata, da anni, in molti Paesi europei), che permette agli studenti di svolgere un’esperienza pratica, in un ente pubblico o privato, per consolidare le esperienze teoriche acquisite a scuola. Ha lo scopo di aiutare i giovani studenti a testare le loro attitudini lavorative e facilitarne la scelta orientativa nel percorso di studio e, quindi, agevolarne l’inserimento nel mondo del lavoro.
È, dunque, uno stage formativo, durante il quale il giovane dovrebbe essere affiancato da un tutor aziendale, con funzioni essenzialmente didattiche e di collegamento informativo con la scuola. È stato reso obbligatorio per tutte le scuole superiori con la riforma c.d. della Buona Scuola, poi aggiornata con la legge di bilancio del 2019 (art. 57 comma 18).
L’intento del legislatore era anche quello di favorire la creazione di stabili relazioni tra scuola e imprese, per agevolarle nella ricerca di collaboratori con competenze operative già formate o, quantomeno, dotati di conoscenze pratiche e non solo teoriche, quali sono necessariamente quelle scolastiche.
Proprio perché inseriti in un contesto ancora didattico e non produttivo, gli studenti, durante il periodo di alternanza scuola-lavoro, non percepiscono alcuna retribuzione e neppure alcun rimborso spese da parte delle aziende che li ospitano; infatti lo stage in azienda non è un tirocinio, ma è – si ripete – un progetto formativo scolastico. Conseguentemente, le aziende ospitanti non possono attribuire agli studenti funzioni di tipo produttivo o mansioni esecutive, perché l’alternanza non è (e non deve essere) un’esperienza di lavoro.
Gli allievi che frequentano i percorsi di questo tipo hanno (e devono mantenere) lo status di studenti e, quindi, sono del tutto illegittime le situazioni in cui essi siano, di fatto, impiegati in mansioni esecutive o similari.
È chiaro, allora, che un eventuale infortunio loro accorso nell’azienda ospitante non può venire considerato come un incidente sul lavoro e, in quanto tale, non può rientrare nelle previsioni di intervento dell’INAIL, (Istituto Nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), che copre soltanto incidenti avvenuti per “causa violenta in occasione di lavoro”.
L’INAIL, perciò, non ha alcun titolo per indennizzare un incidente subìto da uno studente nell’ambito dell’azienda ospitante.
In casi come quello di Giuliano De Seta varranno le ordinarie regole stabilite dagli art. 2043 e seguenti del Codice civile e saranno tenuti al risarcimento (non ad all’indennizzo, che corrisponde ad un concetto ben diverso) solo i soggetti che abbiano dato causa al sinistro, secondo le regole infortunistiche ordinarie.
È probabile che il legislatore debba intervenire per disciplinare quella che appare essere una lacuna normativa, anche perché sono sempre più frequenti gli abusi da parte dei soggetti ospitanti che, senza nulla insegnare ai giovani studenti loro affidati nei periodi di alternanza scuola-lavoro, li impiegano, molto impropriamente, in mansioni di basso lavoro manuale, a costo zero (fare fotocopie, pulire i locali o i macchinari ecc.) e talvolta, come nel caso in esame, pericolose.