Si punti sulla produzione nazionale. La crisi energetica in atto ha spinto Istituzioni europee e Stati membri a rivedere in maniera sostanziale le proprie politiche di approvvigionamento.
Attraverso il piano RePower EU, licenziato dalla Commissione europea, sono stati raddoppiati gli obiettivi legati alla produzione annuale di idrogeno verde al 2030 (123 GW contro i 40 GW previsti nel Fit-for-55), con un target ambizioso: sostituire gran parte del gas importato dalla Russia con altre forme di energia e creare le condizioni per una maggiore indipendenza energetica dalle importazioni mediante una diversificazione di fonti e fornitori.
L’obiettivo in termini di sostenibilità è sfidante, ma il piano, sebbene promuova la sostituzione di combustibili fossili con alternative sostenibili, è ancora troppo incentrato sul gas.
Le criticità persistono e sono numerose.
Innanzitutto, non trascurabile è il potenziale rischio alimentare insito nella produzione del biometano, come numerosi sono i dubbi sulla tempestiva operatività della Piattaforma Energetica Europea istituita per facilitare gli acquisti comuni da parte degli Stati membri di gas, GNL e idrogeno.
L’istruttoria svolta a Bruxelles prevede, poi, che almeno 60 miliardi di metri cubi di gas importato dalla Russia vengano sostituiti da altre importazioni (prevalentemente gas naturale liquefatto), senza tacere del fatto che i costi e l’impatto ambientale di tale diversificazione sarebbero notevoli.
I Paesi UE dovrebbero, inoltre, competere sul mercato globale per ottenere gli approvvigionamenti di GNL, che negli ultimi anni sono tendenzialmente risultati più cari rispetto a quelli via gasdotto. In questa prospettiva, per assicurarsi i quantitativi necessari, l’Europa si troverebbe a competere con grandi importatori asiatici come la Cina e svilupperebbe una nuova dipendenza energetica dagli Stati Uniti, potenziale principale esportatore di GNL nel mercato europeo. In breve, in campo energetico il rapporto di interdipendenza con la Russia (che esporta nell’Unione energia e importa prodotti del settore manifatturiero) verrebbe sostituito da rapporti di concorrenza o dipendenza con due competitori industriali.
Ma vi è di più.
Da un punto di vista climatico, la sostituzione di importazioni via gasdotto con GNL rappresenta un inaccettabile passo indietro.
A causa dei processi di produzione, liquefazione, rigassificazione e trasporto su lunghe distanze (ad esempio, da Qatar e USA), il GNL è più impattante per quantitativi di emissioni rispetto alle importazioni via gasdotto da Paesi prossimi alla UE. L’import dagli USA sarebbe, per altro, gas di scisto, prodotto con la fratturazione idraulica (fracking), una tecnica molto impattante sull’ambiente che è vietata in alcuni Paesi dell’Unione.
A conti fatti, la strada della decarbonizzazione è sicuramente quella giusta, ma le insidie nel percorso sono troppo numerose.
Per porre un argine alla dipendenza energetica dall’estero, sarebbe piuttosto opportuno puntare di più sulla produzione nazionale, che ad oggi è ferma a circa il 5% del nostro fabbisogno di fossili e, nel contempo, ridurre il più possibile, e nel più breve tempo possibile, il nostro fabbisogno di combustibili fossili grazie alla transizione energetica.
Con interventi straordinari di efficientamento energetico degli edifici e con una forte spinta sulle fonti rinnovabili l’Italia potrebbe ridurre la dipendenza energetica nel giro di pochi anni. E se si proseguisse su questa strada, raggiungendo gli obiettivi di transizione energetica previsti dalla Roadmap per la neutralità climatica dell’Italia, già nel 2030 si potrebbe soddisfare più della metà del fabbisogno (il 54%) con la produzione nazionale, cioè con fonti energetiche nazionali e sostenibili.
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Fonte: Indipendenza energetica