Infermiere prescrittore: lo chiedono in una lettera al ministro Speranza le associazioni dei cittadini-pazienti

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Operatori Socio Sanitari OSS abbandonati
Operatori Socio Sanitari (OSS) come gli infermieri?

Infermiere prescrittore. Di alcuni farmaci non etici, di automedicazione e soprattutto dei presidi per gestire determinate forme di assistenza. Lo ha chiesto la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), sulla scia del suo documento presentato in occasione dei pareri sul PNRR, messo a punto da un Advisory board di personaggi illustri del mondo sanitario, in cui a proporlo è stato Silvio Garattini, presidente del Mario Negri di Milano – per adeguare le competenze infermieristiche alle esigenze, identificare meglio il ruolo nei vari setting assistenziali anche in relazione agli standard di esiti di cura attesi sulla popolazione.

Ora lo chiedono le associazioni dei diretti interessati, dei cittadini pazienti, che hanno scritto per questo al ministro della Salute Roberto Speranza, ai sottosegretari alla Salute e al direttore generale della programmazione del ministro. Favo, Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia, Fincopp OdV, Federazione Italiana Incontinenti e Disfunzioni del Pavimento Pelvico, Faip, Federazione delle Associazioni Italiane, Paratetraplegici, Fish, Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, Aistom OdV, Associazione Italiana Stomizzati e AIMAR Onlus, Associazione Italiana Malformazioni Ano Rettali e Asbi, Associazione italiana spina bifida, che rappresentano oltre 10 milioni di cittadini (il 17% circa della popolazione italiana), hanno chiesto nella loro lettera l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza perché la possibilità prescrittiva sia estesa agli infermieri e in alcuni casi anche ai fisioterapisti.

Il Dpcm sui Lea dice che “È fatta salva la possibilità per le regioni e per le province autonome di individuare le modalità con le quali la prescrizione è consentita ai medici di medicina generale, ai pediatri di libera scelta ed ai medici dei servizi territoriali. I prodotti per la prevenzione e il trattamento delle lesioni da decubito sono prescritti dal medico nell’ambito di un piano di trattamento di durata definita, eventualmente predisposto dallo stesso medico; il medico prescrittore è responsabile della conduzione del piano” e le associazioni chiedono formalmente che questo venga esteso, ad esempio, anche all’infermiere stomaterapista, all’infermiere uro-riabilitatore e al fisioterapista, per quanto di loro competenza.

“Osiamo far rilevare – si legge nella lettera – che in Inghilterra da oltre trent’anni gli infermieri possono prescrivere ai pazienti dispositivi medici monouso e nessuno reclama, ma tutti ringraziano”. Questo perché, spiegano “l’infermiere, professionista di prossimità se formato ad hoc è in grado garantire la presa in carico della persona assistita anche per quanto attiene la prescrizione dei dispositivi medici monouso, oltre che per favorire la sburocratizzazione dei percorsi (PDTA) per l’acquisizione degli stessi. Altrettanto dicasi per l’importante figura del fisioterapista, specie in materia di incontinenza e riabilitazione del pavimento pelvico”.

La motivazione non si ferma qui. La modifica dei Lea secondo le associazioni eviterebbe “spaventosi iter burocratici che i cittadini devono subire per ottenere ogni due mesi i dispositivi medici monouso (sacche, placche, cateteri, cannule tracheali, pannoloni, traverse, ecc..) dalle Regioni, dalle Aziende Sanitarie locali e dai Distretti socio-sanitari, su pressione dei propri associati e stanchi di subire iter burocratici al limite della dignità umana”.“Cambiare rotta sugli interventi terapeutici grazie all’ampliamento delle competenze, a partire dalla possibilità di prescrivere alcune classi di farmaci e presidi che rientrano nella loro sfera di conoscenza e competenza” appare un percorso inevitabile, sottolinea la presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli. “Ma anche – aggiunge – sugli interventi assistenziali, definendo la piena ed esclusiva funzione di cura e non di supplenza delle altre professioni sanitarie, e superando la frammentazione e la disomogeneità dei modelli regionali”.