Sono stato giovane anche io, con la sfortuna di non essere privilegiato, ma quando ho letto la lettera dei ragazzi ebrei della Milano bene, non mi sono arrabbiato, infastidito sì perché è facile fare la critica dal salotto di casa, soprattutto con pancia e portafoglio pieni. Ho fatto solo qualche riflessione: chissà perché una volta le rivoluzioni le facevano i poveri, ora i ricchi… Negli anni 70-80 il ricco quartiere del Parioli a Roma era il punto di incontro della destra, ora è diventato ancora più ricco, è diventato quello della sinistra, ma il valore degli immobili non è diminuito, anzi è aumentato! Il mondo è una ruota che gira.
Non ho nemmeno investito tempo per capire, ho visto dei cognomi, alcuni familiari, altri non riconducibili a mie conoscenze, così io Josef Jossy Jonas mi sono sentito in dovere di intervenire. Sono nato in Libia, da dove sono fuggito nel 1965 a causa di disordini razziali. Papà aggredito, colpevole di essere ebreo, zio, nonno ridotti in fin di vita dagli arabi di Libia. Ho studiato e vissuto in Italia e in America, mi sono trasferito definitivamente in Israele solo una quindicina di anni fa. Ora faccio il blogger di professione, ho parecchie pagine, sono amministratore delle pagine Facebook Ebrei e Israele e Ebrei, Israele e Shoà e sono amministratore della pagine Facebook Ebrei, Israele e Shoà, Ebrei e Israele (https://www.facebook.com/Ebrei-e-Israele-1591089871202295/). Svolgo seminari on line sulla Shoà, storia, cultura ebraica e guerra in Israele e a sostegno di Israele. Prima di tutto sono un ebreo e questa è la mia identità.
Questi giovani sbraitano #notinmyname, d’accordo no, non in vostro nome, ma sì nel mio, che sotto le bombe ci vivo da sempre e ora definitivamente. Facile ”filosofare” dall’agio, venite qua e cominciate a aiutare a portare i bambini nei rifugi, ogniqualvolta scatta un red alarm. Non pretendo che portiate gli anziani, è più difficile, ci vuole più forza e più fatica, ma almeno pensate ai bambini che sono il futuro di Israele.
A questa provocazione su Il Manifesto https://ilmanifesto.it/not-in-our-names-la-lettera-dei-giovani-ebrei-italiani/ (che riproduciamo in fondo*)
Io vi rispondo:
#In your name, a tuo nome.
A tuo nome, ragazzo ebreo della Milano per bene.
A tuo nome ho combattuto 10 guerre in 70 anni, per difendere il tuo diritto ad avere sempre una casa dove rifugiarti.
A tuo nome ho visto morire i miei amici, ho perso mio padre, mio figlio, mio marito.
A tuo nome ho visto i corpi a brandelli dei miei concittadini saltati in aria per le bombe dei terroristi.
A tuo nome, ragazzo ebreo della Milano per bene, ho iniziato l’università, e la mia vita, con tre anni di ritardo rispetto a te, perché, sai, qui, facciamo il militare tutti.
A tuo nome pago le tasse più alte del mondo, ragazzo ebreo della Milano per bene, della casa ai navigli, della laurea alla Bocconi: le pago per mantenere la sicurezza del mio-nostro paese, del TUO paese.
A tuo nome ho salvato gli ebrei di Entebbe e protetto discretamente te e la tua famiglia in tutto il mondo.
A tuo nome ho fatto il servizio di sicurezza negli aeroporti di tutto Il mondo-anche di Milano- a sei euro l’ora, perché ci fidiamo solo dei nostri per garantirti un viaggio sicuro.
A tuo nome ho trasformato il deserto in giardino.
A tuo nome sono rimasto qui durante la Tzena, la carestia che vivemmo, quando arrivarono un milione di ebrei nord africani che cercavano rifugio: spero non capiti mai a te. Patimmo la fame, ma dividemmo il pane con chiunque vedesse la salvezza solo in Israele.
A tuo nome ho vissuto 10 anni di depressione economica dopo la guerra del 1973, la guerra del Kippur, quando lasciai la Sinagoga, deposi il Tallet1 ed andai a combattere nel giorno più sacro dell’anno. Per te, a tuo nome, morivo sotto le bombe Siriane ed Egiziane, mentre tu dal tuo comodo divano della Milano per bene, davanti alla televisione, gridavi: Am Israel Hai! (Israele vive!).
A tuo nome sono restato sotto i razzi mentre tu ci condannavi e poi andavi all’apericena.
A tuo nome, per permetterti di fare le vacanze qui e trovare una fidanzata ebrea, sono rimasto sempre qui perché da qui non potevo andare via, tu si.
A tuo nome lavoro duro per pagarti l’Alya’2, darti sei mesi di paghetta, casa e Ulpan3 e poi magari tornerai alla tua Milano per bene perché qui la vita e’ troppo dura.
A tuo nome debbo mantenere i sussidi ai religiosi perché mantengano l’identità, la tua identità ebraica.
A tuo nome debbo lasciare Tel Aviv perché le case sono diventate troppo care, sono diventate troppo care, perché tu, i tuoi genitori, avete comprato case che io ora, grazie a te, non posso più permettermi; case che tieni sfitte, per poterci venire-D-o non voglia- un giorno maledetto, quando dovrai lasciare la tua Milano per bene. E poi il mattone in Israele e’ sempre un buon investimento.
A tuo nome ho fatto questo e tanto altro, perché siamo Am israel4, una sola famiglia, una sola anima: Nefesh Yehudi’5, lo sai cosa vuol dire?
A tuo nome. In your name.
Sono arrabbiato con te? No, affatto.
Devo perdonarti? No, nulla da perdonare, perché a 18 anni si fanno tante stupidate, ma io questo lusso non posso permettermelo; ragazzo ebreo della Milano per bene.
Shabbat Shalom
Tel Aviv
1 Il tallèd o tallìt anche definito scialle di preghiera
2 Aliyah o Aliyá o Alià (“salita”) è l’immigrazione ebraica nella terra di Israele. Idem Talet che e il manto di preghiera ebraico
3 Ulpan sistema per insegnare agli immigranti adulti in Israele la lingua base in termini di conversazione, scrittura e comprensione.
4Am Israel (popolo di israele-ebrei in generale)
5 Nefesh yehudi animo ebraico.
*da Il Manifesto
“Not in our names”, la lettera di un gruppo di ebree ed ebrei italiani
La presa di posizione. Con un post Facebook e delle foto con i cartelli, ragazzi e ragazze italiani di religione ebraica prendono la parola contro l’occupazione Israeliana e gli sfratti di Sheikh Jarrah
Siamo un gruppo di giovani ebree ed ebrei italiani. In questo momento drammatico e di escalation della violenza sentiamo il bisogno di prendere la parola e dire #NotInOurNames, unendoci ai nostri compagni e compagne attivisti in Israele e Palestina e al resto delle comunità ebraiche della diaspora che stanno facendo lo stesso.
Abbiamo già preso posizione come gruppo quest’estate condannando il piano di annessione dei territori della Cisgiordania da parte del governo israeliano e il nostro percorso prosegue nella sua formazione e autodefinizione.
Diciamo #NotInOurNames: gli sfratti a Sheikh Jarrah e la conseguente repressione della polizia gli ultimi episodi repressivi sulla Spianata delle Moschee il governo israeliano che pretende di parlare a nome di tutti gli ebrei, in Israele e nella diaspora i giochi di potere (di Netanyahu, Hamas, Abu Mazen) che non tengono conto delle vite umane i linciaggi e gli atti violenti che si stanno verificando in molte città israeliane il bombardamento su Gaza il lancio di razzi indiscriminato da parte di Hamas la riduzione del dibattito a tifo da stadio l’utilizzo strumentale della Shoah sia per criticare che per sostenere Israele le posizioni unilaterali e acritiche degli organi comunitari ebraici italiani gli eventi di piazza organizzati dalle comunità ebraiche con il sostegno della classe politica italiana, compresi personaggi di estrema destra e razzisti la narrazione mediatica degli eventi in Medio Oriente che non tiene conto di una dinamica tra oppressi e oppressori qualunque iniziativa e discorso che veicoli rappresentazioni islamofobe e antisemite
La situazione attuale rappresenta l’apice di un sistema di disuguaglianze e ingiustizie che va avanti da troppi anni: l’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi e l’embargo contro Gaza incarnano l’intollerabile violenza strutturale che il popolo palestinese subisce quotidianamente. Condanniamo le politiche razziste e di discriminazione nei confronti dei palestinesi.
All’interno delle nostre società riteniamo necessaria ogni forma di solidarietà e mobilitazione, ma ci troviamo spesso in difficoltà. Pur coscienti che antisionismo non sia sinonimo di antisemitismo, osserviamo come un antisemitismo non elaborato, che si riversa più o meno consciamente in alcune delle giuste e legittime critiche alle politiche di Israele, rende alcuni spazi di solidarietà difficili da attraversare. Si tratta di una impasse dalla quale vogliamo uscire, per combattere efficacemente ogni tipo di oppressione.