Ieri, 3 settembre 2020, si poteva leggere (tra le pieghe di mille altre notizie) un articolo su Il Fatto Quotidiano a mio avviso inquietante e molto sconfortante per quanto veniva evidenziato: l’informazione che veniva (e viene) data è di una palese ingiustizia subita da lavoratori esposti all’amianto.
Il 3 luglio (quindi 2 mesi fa) la Corte di appello di Catania, ribaltando la sentenza di primo grado del tribunale di Siracusa, ha negato la rivalutazione contributiva ai fini pensionistici a 21 lavoratori delle ex Industrie Meccaniche Siciliane di Priolo Gargallo (Siracusa).
Da quanto si legge nell’articolo che riporta la questione, la nuova sentenza è stata emessa “a protezione dell’interesse pubblico“. Forse non c’era l’amianto? Forse i lavoratori hanno tentato di truffare l’INPS? Non sembra proprio. La decisione della Corte d’appello di Catania (ma altri casi si potrebbero citare, ndr) ha ribaltato la sentenza di primo grado perché sarebbero decaduti i termini di presentazione di domanda all’INAIL risalenti a 15 anni fa. Se confermata i lavoratori dovrebbero restituire quanto loro concesso.
Per carità, tutto è legale, tutto è fatto secondo le regole… ma è giusto tutto ciò? E’, forse, vera giustizia quella secondo la quale se, passati i termini di presentazione della domanda, di fatto, non si ha diritto a niente? Qua si sta parlando di salute dei lavoratori, di malattie professionali, di sicurezza sul lavoro.
Il deposito della domanda all’INAIL (da quanto dichiarato dal loro legale) è stato fatto quando si è saputo dell’amianto. Così, per un “ritardo” dovuto alla mancata conoscenza di quello che gli operai avevano trattato per più di 20 anni (cosa già di per sé inquietante e grave) per l’ennesima volta i colpiti (quasi i “colpevoli”) sono i lavoratori. A loro tocca pagare tutto, anche la malattia della quale molti sono già affetti.
Questo è l’ennesima dimostrazione che non esiste sicurezza adeguata nei luoghi di lavoro e che la sicurezza è considerata un costo, un orpello, qualcosa che si giudica applicando la burocrazia. Una burocrazia che è ostile a chi vive del proprio lavoro.
Ai lavoratori che stanno facendo lo sciopero della fame contro questa sentenza francamente sbalorditiva (in senso negativo) deve andare tutta la vicinanza e la solidarietà di chiunque abbia a cuore la Giustizia e l’attuazione della Costituzione nella quale è scritto a chiare lettere che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Un lavoro che deve essere garantito, sicuro e ben retribuito.