Lavarsi spesso le mani. Non toccarsi occhi, naso e bocca. Evitare il contatto ravvicinato con altre persone … Sono queste le regole base che abbiamo imparato ad adottare per difenderci dall’emergenza Coronavirus, ma come se non bastassero le strette di mano, tra i propagatori dell’infezione ci sarebbero anche le PM10 e le PM2,5.
Che l’inquinamento, specie quello atmosferico, fosse da mettere in relazione con gravi patologie che minacciano la nostra salute, questo già lo sapevamo. Infatti, se le PM10 sono inalabili e provocano danni all’apparato respiratorio, le PM2,5 non sono così circoscritte, esse penetrano attraverso i polmoni e si accumulano nel sangue che le trasporta in diverse parti dell’organismo danneggiandone i tessuti.
Un’indagine commissionata allo IUAV dalla Provincia di Vicenza, e pubblicata nel dicembre dello scorso anno, ci informa, per l’appunto, che le morti premature causate dall’inquinamento sono state 91.000 e che Vicenza è tra le province più inquinate del Veneto con 900 ton/anno di PM10.
Ora, uno Studio curato dalla Società Italiana di Medicina Ambientale arriva a mettere in relazione l’alta percentuale di particolato sottile, presente nel bacino della Pianura padana, con il numero di casi infetti da Covid-19. Il particolato sembra fungere da vettore per il trasporto del virus e dunque, potrebbe essere questo il motivo per cui, nelle Regioni del Nord, si registra un più alto numero di morti e di contagi rispetto al resto d’Italia.
Ricordiamocene, quando tutto questo sarà finito e finalmente potremo uscire di casa; ricordiamocene, ogni qualvolta ci diranno che il progresso non si ferma e che l’inquinamento è il prezzo da pagare; ricordiamocene, quando per raccattare quattro voti, toglieranno spazio alle persone per destinarlo alle auto …
La Pianura padana e la Provincia di Hubei (quella zona della Cina da cui sembra essersi propagato il virus) sono tra i luoghi più inquinati del Pianeta, e questo vorrà pur dire qualcosa, ma c’è un altro aspetto che viene spesso sottovalutato.
Sebbene in linea teorica il salto di specie sia un’eventualità sempre possibile, l’esperienza ci insegna che le più recenti pandemie, dall’Aids alla Sars, fino al Covid-19, hanno tutte avuto origine dal contatto con gli animali selvatici, dalla distruzione dell’habitat naturale e dall’intensificazione abnorme degli allevamenti intensivi.
Così come non dobbiamo dimenticare che il cambiamento climatico è all’origine di nuove infezioni malariche, propagate dagli insetti a ritmi sempre più impressionanti.
Insomma, chi si augura che una volta finita l’emergenza, tutto possa tornare come prima, dovrebbe prima fermarsi a riflettere sul significato di progresso, sulle politiche di sfruttamento delle risorse naturali e sulle gravi responsabilità di noi umani a danno del Pianeta su cui abitiamo.
(qui la situazione ora per ora sul Coronavirus, qui tutte le nostre notizie sull’argomento, ndr)