Sul problema delle intercettazioni, che, in questi giorni, è di grande attualità, abbiamo già avuto modo di occuparci in questa stessa sede giornalistica (leggi “Giustizia penale oltre che civile: qualche riflessione del magistrato Schiavon per il ministro Nordio su intercettazioni e reati di corruzione“). Dopo le recentissime polemiche, seguite alla cattura di un notissimo boss mafioso, Matteo Messina Denaro, cerchiamo di approfondire ulteriormente il dibattito.
Tutto è sorto dal fatto che, nel programma di riforma del sistema giudiziario illustrato dal centro destra prima delle elezioni, c’era anche una, non meglio precisata, regolamentazione limitativa dell’uso delle intercettazioni: “costano troppo – aveva precisato Carlo Nordio, in allora ministro della Giustizia in pectore – e sono pericolose perché, troppo spesso, vengono utilizzate non come strumenti per la ricerca delle prove nel processo, ma, esse stesse, come prove”.
Inoltre, sarebbero intrusive e suscettibili di ledere, spesso inutilmente, l’onorabilità dei cittadini, diventando, anche attraverso la loro pubblicazione sulla stampa, occasione di violazione della privacy o di rivelazione di notizie nocive per la reputazione altrui, pur se irrilevanti ai fini processuali.
A chi gli obiettava che le intercettazioni erano indispensabili nei processi per mafia o per corruzione, il futuro ministro contrapponeva le proprie perplessità con il dire che “i veri mafiosi non parlano mai al telefono”: come dire che, sostanzialmente, esse non sono mai molto utili.
Ma, come si è detto, i clamorosi fatti di questi giorni, con la cattura di un mafioso latitante da 30 anni, hanno messo in subbuglio la politica e l’opinione pubblica, talché tutti i rappresentanti della coalizione di governo si sono affrettati a precisare che “non vi saranno riforme per le intercettazioni sulla mafia e sul terrorismo” perché, in questi contesti delinquenziali, esse sono, invece, utilissime.
Anche il Guardasigilli ha avvertito l’esigenza di rendere, sul punto, dichiarazioni meno rigide (e imprudenti), precisando testualmente: “alludevo al fatto che nessun mafioso ha mai manifestato al telefono la volontà di delinquere e, comunque, ha espresso parole costituenti prova di un delitto …”.
Ci sia consentito di manifestare, ancora una volta, ampie perplessità anche su queste puntualizzazioni di rettifica.
Anzitutto, non è vero che, al telefono, i mafiosi non parlino: parlano in codice, usano linguaggi criptici che, tuttavia, gli investigatori esperti riescono spesso a decifrare. Ma, poi, ci sono intercettazioni ambientali e quelle direzionali, che riescono a captare notizie (non solo dialoghi) utilissime per le indagini. E neppure dobbiamo sopravvalutare l’intelligenza dei delinquenti, che commettono, essi stessi, frequenti imprudenze.
Comunque, Nordio non ha chiarito un punto fondamentale, che è rimasto nella totale incertezza: saranno ancora consentite e, in caso affermativo, con quali dimensioni, le intercettazioni nei procedimenti per corruzione o per concussione? Tali reati – è bene ricordarlo – non si possono quasi mai accertare senza l’uso di questi strumenti investigativi. Molto chiare, in proposito, sono le parole dell’ex procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho: “le intercettazioni, il più delle volte, non nascono per il contrasto alle mafie. Alle mafie si arriva dopo. Perché le intercettazioni partono dalla corruzione e da altri reati e, sviluppandosi su questo binario, poi arrivano a tutto quello che c’è dietro”.
È quel che si è ripetutamente scritto: le intercettazioni non devono essere regolamentate per legge e consentite con provvedimenti normativi in casi tipici, ma devono essere lasciate al buon senso e alla professionalità di chi ritiene di usarle. Semmai è il magistrato che le ha autorizzate con troppa leggerezza che dovrebbe risponderne, anche disciplinarmente.
Ben diverso è il problema, pure lamentato da Nordio, dei danni recati alle persone dalla loro abusiva pubblicazione sui quotidiani. Ma, questa, è una patologia che va affrontata in altro modo e non cero limitando, per legge, l’uso di questo fondamentale strumento investigativo.
Di tutte le storture applicative deve ritenersi responsabile solo chi ne è autore.