Si scrive anatocismo, si legge calcolo degli interessi sugli interessi maturati su una somma dovuta (ne parleremo a breve in una nuova puntata di “Debiti o crediti?” con Alfredo Belluco, ndr). Anche se nel 1999 la Corte costituzionale ha segnato lo spartiacque di questa pratica sancendone l’illegittimità con due sentenze – subito dopo che il governo D’Alema l’ha inserita nel Testo unico bancario – negli ultimi 18 anni non si è fatto altro che alimentare un acceso dibattito con una raffica di sentenze di tribunali, Cassazione e perfino Consulta che l’hanno bocciata, mentre la politica di fatto dall’ottobre 2016 l’ha resuscitata. Per capire che cosa sia questa pratica, facciamo un esempio: se io chiedo un prestito al 20%, su una somma di 1.000 e non restituisco nulla, dall’anno successivo gli interessi si calcolano non più su mille euro ma su 1.200 euro. E dall’anno successivo, il calcolo non sarà più sui 1.200 ma su 1.440 e così via. Praticamente una montagna di quattrini che hanno fatto la fortuna delle banche e che hanno strozzato migliaia di famiglie e imprese in difficoltà.
Tutto questo è stato possibile perché il sistema bancario ha sfruttato le interpretazioni giurisprudenziali dell’articolo 1.283 del Codice Civile che disciplina proprio il conteggio degli interessi quando si va in rosso, sia che si tratti di un conto corrente, di prestiti o fidi. Con le banche che, addirittura, fino al 2014 sono riuscite a tartassare i clienti conteggiandogli gli interessi ogni tre mesi. Quattro anni fa, infatti, grazie a una norma infilata nella legge di Stabilità, si è fatta un po’ di chiarezza almeno su un punto: stabilire un limite oltre il quale ritenere gli interessi usurai. Ma le banche nei fatti hanno continuato ad applicare l’anatocismo anche dopo il 2014 accampando una scusa: era prevista una delibera attuativa del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr), che ha sede al ministero dell’Economia. Fino a quando nel 2016, grazie a un emendamento al decreto sulla Riforma del Credito Cooperativo, è arrivata l’ultima modifica alla norma che ha confermato il divieto di produrre altri interessi su interessi debitori maturati “salvo quelli di mora”, quelli applicati ai correntisti in rosso sui quali agisce l’anatocismo. Da allora le banche devono necessariamente adeguarsi al disposto del decreto n. 343 del 3 agosto 2016 del ministro dell’Economia che attua l’articolo 120 del Testo unico bancario che, a sua volta, contiene i principi direttivi per la disciplina dell’anatocismo bancario: al 31 dicembre di ogni anno conteggiare gli interessi passivi maturati su un prestito o un mutuo su base annua. Mentre il debitore ha due alternative: impegnarsi a corrispondere quegli interessi entro 60 giorni, oppure autorizzare l’addebito sul proprio conto corrente. In questo secondo caso gli interessi si aggiungeranno al capitale e scatterà appunto l’anatocismo: a partire dal primo marzo successivo (ovvero alla scadenza del termine massimo di 60 giorni), cominceranno poi a maturare gli interessi sugli interessi.
Tutto chiaro? Ovviamente no. Tant’è che nel novembre 2017, l’Antitrust ha inflitto 11 milioni di multa a Unicredit, Bnl e Intesa Sanpaolo, perché hanno messo in atto pratiche commerciali scorrette. Mentre il quadro normativo cambiava – ha spiegato l’Authority – il cliente con il conto in rosso veniva spinto ad accettare di trasformare il debito in capitale su cui calcolare gli interessi (e dunque nel tempo gli interessi sugli interessi) invece che saldare l’ammanco.
Insomma, due anni di “buco” durante i quali le banche hanno continuato ad applicare gli interessi anatocistici, così come confermato anche dalla sentenza arrivata pochi giorni fa dal tribunale di Milano che ha accolto le domande del Movimento consumatori accertando che il mantenimento e l’uso – dal 1° gennaio 2014 e fino al 14 aprile 2016 – delle clausole di capitalizzazione inserite nelle condizioni generali di alcuni contratti di Banca Ubi e nelle condizioni generali di contratto del conto corrente della Banca Widiba (del gruppo Montepaschi) costituiscono un comportamento scorretto nei confronti dei consumatori. Il tribunale ha, quindi, inibito alle due banche di dar corso a qualsiasi ulteriore forma di capitalizzazione degli interessi passivi nei contratti a partire dal 1° gennaio 2014 fino al 14 aprile 2016 incluso. In altre parole, il tribunale ha riconosciuto il diritto dei clienti al ricalcolo del saldo di conto corrente, eliminando ogni addebito per gli interessi anatocistici pagati. Le due banche dovranno, quindi, comunicare ai correntisti di aver violato i loro diritti consentendogli di richiedere indietro i soldi. “Si tratta di una sentenza che – spiega Alessandro Mostaccio, segretario del Movimento consumatori – dimostra come tutto il sistema bancario italiano abbia deciso per oltre 2 anni di non rispettare le regole che vietavano l’anatocismo, incassando in poco più di 2 anni oltre 2 miliardi di euro che devono essere restituiti a famiglie e piccole imprese”.