La telenovela (al solito teleguidata?) dell’Ops ostile di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca mette in scena un altro, apparente, colpo di scena: Bper (Banca Popolare dell’Emilia Romagna) rileverà, invece che i circa 400 inizialmente previsti nell’accordo con i lombardo piemontesi, ben 532 sportelli di Ubi per garantire il successo all’Offerta pubblica di scambio dopo che l’Antitrust dello scorso 8 giugno ha definito l’operazione «non suscettibile di essere autorizzata» per il rischio di «produrre la costituzione e/o il rafforzamento della posizione dominante» dei due istituti, che, messi insieme, arriverebbero a quota 5.400 filiali.
Se basteranno solo un centinaio di filiali in meno su 5.400 per ridare fiato alla libera concorrenza, l’acquisto di nuovi sportelli da parte di Bper, che, addirittura, accetta l’incremento in corsa del pacchetto, la si può interpretare come un altro enorme favore del sistema a Intesa. Bper aveva un piano industriale che prevedeva il taglio di sportelli e, ora, fatalità, ne acquista 532. Un po’ strano, no? E tira fuori anche un bel po’ di soldini che rinegozia, sul serio o per finta?, ma che paga per cassa.
Per farlo Bper, però, dovrà finanziarsi per mezzo di un aumento di capitale fino a un miliardo di euro offerto in opzione agli azionisti, di cui è facile immaginare la felicità se si pensa che di sportelli in vendita ce ne sono una marea e a costo zero (basta guardare i piani industriali delle banche, tra cui quello della stessa Bper prima della fulminazione sulla via di… Messina) e che con il lockdown la clientela si è abituata ancora di più a utilizzare gli strumenti virtuali e a fare a meno sempre più degli sportelli che la stessa Intesa non ha esitato a chiudere quando con un euro ha messo in dispensa la polpa di BPVi e Veneto Banca.
Se Messina continua a incassare lo si deve, però, anche all’Ad e al Cda di Bper che poco possono dire perché li “indirizza” Unipol che è il maggior azionista della banca romagnola, acquistata con un’operazione tutta finanziaria dopo aver tentato invano di farsene una ai tempi dell’urlo di gioia di Fassino, “ma abbiamo una banca?“, poi finito come finito e che ha fatto sì che l’accordo, non sono solo voci, Intesa l’abbia fatto con Cimbri, Ad di Unipol, e non con Vandelli, Ad di Bper.
Grazie al nuovo boccone che, sfruttando l’asse con Unipol e Mediobanca, fa di una delle residue grandi banche italiane, addirittura intascando luccicanti dobloni d’oro per le sue filiali vendute a Bper a prezzo di affezione e per il ramo assicurativo che finisce nelle tasche di Unipol, Intesa, quindi, si toglie il principale concorrente nelle sue zone di elezione cancellando una banca che ha 1600 sportelli e smembrandola nel più bieco stile americano.
Ma, ecco, un’altra, ancora più strategica, chiave di lettura dell’operazione: la spartizione in realtà appare come un nuovo patto fra finanza bianca e finanza rossa che imbandiscono una ricca tavola con la loro tovaglia. Bper, che è detenuta al 19% dalla “rossa” Unipol, era più piccola di Ubi e con questa mossa Intesa, che ha origini e salde radici nella finanza cattolica, alias bianca, si rafforza ma butta anche fuori un competitor di Bper, che si ingrandisce e crea un polo rosso che, magari, poi punterà sulla preda rossa per antonomasia, Mps.